Sono in sospeso di chiarimenti e riflessioni che ho elaborato nella pancia nel tempo trascorso dall’ultimo articolo, ma credo sia necessario, senza perdere altro, scrivere qualcosa sul primo evento post- Covid di un certo peso – ovviamente, riferendomi a quello che interessa a me, l’arte cinematografica nel caso specifico di questa paginetta – ossia del Festival del Cinema di Venezia che ieri ha dato il via ai suoi lavori in un’atmosfera un po’ spettrale anche a causa dell’ambiente creato da chi diceva che non credeva fosse necessario fare il festival ‘di persona’, anche per rispetto a un tentativo di normalizzazione che i numeri ci dicono non sta proprio ben riuscendo, non solo nel nostro Paese ma anche molto lontano da noi. Ma andiamo ai fatti: ieri sera, cerimonia di apertura della 77esima edizione del Festival del cinema di Venezia, diretta, ormai dal 2011 da Alberto Barbera – in precedenza, per chi non lo sapesse, già era stato direttore del Festival dal 1998 ma era stato rimosso dall’incarico nel 2002 da uno scontento Ministro dei Beni Culturali, Giuliano Urbani, poi ‘defenestrato’ a sua volta per abuso d’ufficio continuato ed aggravato; Barbera, che dai tempi di Urbani non ha visto intaccata la sua popolarità né l’apprezzamento nel settore cinematografico e culturale europeo, parlerà poi della necessità di una ripartenza fortemente voluta anche da moltissimi altri direttori dei più importanti Festival del Cinema Europei e non solo, nonostante le precauzioni rese necessarie dalla pandemia ancora in atto. Dopo una passerella senza pubblico in cui i VIP non hanno saputo gestire l’uso obbligato di mascherine e le richieste dei fotografi di toglierle per gli scatti di rito, con imbarazzanti piccoli assembramenti dovuti a persone che non sapevano dove stare o cosa fare e automatici scambi di strette di mano (anche da parte del mio adorato Nicola Lagioia, scrittore quest’anno giurato, che è stato l’essere umano di cui durante e post lockdown ho seguito imprese e spostamenti di più di quanto abbia fatto con il mio fidanzato – vi consiglio di recuperare almeno le puntate di SalTo se non volete spararvi tutto il magnifico Salone del Libro internazionale di Torino on line) e la scelta sicuramente opinabile ma stilosissima di quello che è stato il Leone alla Carriera (uno dei, dato che è previsto anche un Leone D’Oro per la regista di Hong Kong Ann Hui), Tilda Swinton, che non so con quanta voglia di ribellione o consapevolezza dell’ironia anche linguistica, ha indossato in passerella una mascherina veneziana (potrebbe aver pensato ‘bene, devo mettermi una mascherina ma non mi avete detto quale’) è iniziato il Festival con un omaggio al compositore Ennio Morricone, scomparso due mesi fa, con l’esecuzione de Il Tema di Deborah, tratto dalla colonna di C’era una volta in America da parte dell’orchestra Roma Sinfonietta diretta dal figlio del Maestro, il Maestro a sua volta Andrea Morricone, alla fine della quale una stupenda Anna Foglietta, madrina della kermesse (con abito Armani Privé e gioielli Bulgari) ha sceso la scala tra la galleria e la platea in cui si siedevano i pochissimi privilegiati che costituiscono il cuore di questo Festival, per raggiungere il palco e introdurre il primo festival dell’Anno Zero post Covid. A me piace molto Anna Foglietta ma il suo discorso mi è parso troppo recitato (non sono riuscita a togliermi dalla testa l’immagine di lei che lo ripete davanti ad uno specchio prima o dopo essersi lavata i denti) e avrei tagliato del tutto i riferimenti al ‘fare italico’, come se non avessimo tutti bisogno di fare, non solo qui ma anche altrove e in ogni campo. Come se si dovesse fare perché ci stiamo perdendo troppo in chiacchiere, mentre, a mio parere, avremmo bisogno di dire molto di più sulle categorie di lavoratori dello spettacolo in crisi perché mai riconosciute e tutelate. E questo molto prima del COVID. Come se non si potesse dire che il numero di suicidi tra gli attori in questi anni (attori non famosi o non più famosi, ovviamente, o non noti a tutti, quelli dei ruoli secondari o del teatro che campano a stento, produzione dopo produzione, che rischiano di perdere il posto all’ultimo secondo per il raccomandato di turno o per una faccia che parrebbe più giusta del loro talento e girano l’Europa e il mondo per vendere e/o migliorare la loro arte con spettacoli potentissimi che in pochi siamo stati educati a cercare) è davvero altissimo e che si dovrebbe considerare anche queste morti come morti bianche, delle morti sul lavoro, come gli operai nei cantieri, per via della precarietà del sistema, dell’assenza di tutele minime e per la complessità della gestione dell’adattare il proprio corpo e la propria anima a quello di un personaggio diverso, quasi ogni giorno, più personaggi al giorno, in un settore in cui non viene considerato (se non da pochissimo e non a tutti) da pagare il lavoro che ti porta a un provino, in cui non puoi farti sostituire se sei malato o non te la senti o se hai perso tua madre quel giorno. ‘The show must go on’. E questa situazione credo si possa in parte moltiplicare anche per molti registi e per moltissime professioni ‘above e beyond the line’ (per il cast e i reparti artistici e le maestranze di ogni tipo legate alla produzione). Qualunque cosa accada, lo spettacolo deve andare avanti. E adesso che in parte la giostra si era fermata, forse era il caso sfruttare questo momento per discutere di tutto questo. Dei drammi che si consumano per il cinema e lo spettacolo lontano dagli occhi degli spettatori. Perché, a mio parere, di gente che ha la voglia e la volontà di fare – e la capacità di fare – ce n’è tantissima. A questo, Foglietta ha unito i ringraziamenti a tutti gli operatori sanitari costretti in prima linea. In questi giorni che, come operatore di emergenza-urgenza riprendo a sentirmi un alieno che ha vissuto qualcosa che gli altri non hanno nemmeno idea di cosa sia e che discuto continuamente per le cautele per me necessarie per evitare di tornare allo stato di prima, non mi sono nemmeno sentita gratificata dalle sue parole ma ho solo pensato ‘è vero; non avete idea dell’incubo che abbiamo vissuto’. Ha abbracciato virtualmente i familiari delle vittime, commentando che non sappiamo cosa accadrà domani, per poi introdurre la Presidentessa della Giuria, una meravigliosa Cate Blanchett (che ha riciclato lo stesso stupendo abito di Esteban Cortazar usato per l’anteprima londinese di Carol di Todd Haynes con gioielli Pomellato e che era già stata Presidente di una Giuria a Cannes nel 2018 facendo, a mio parere e non solo, benissimo) che continua la linea firmata due anni fa dalla Mostra veneziana per il cosiddetto patto 50/50 per la parità di genere, guidando un’edizione con diciotto presenze femminili (invece delle due dello scorso anno) e con l’inserimento di nuovi autori per ben tredici titoli della selezione ufficiale, scelte che hanno fatto anche molto di più del suo discorso che è stato sottostimato, forse adombrato da quanto è accaduto dopo, in cui Cate Blanchett ha usato parole da sopravvissuta: ‘Siamo qui e ce l’abbiamo fatta’, e sottolineato la forza del cinema come strumento capace di portarci altrove, in un luogo altro, in un’altra realtà, senza malattia o con diverse paure, oltre le stanze in cui siamo stati rinchiusi durante il lockdown, e la gioia di riprendere a rivivere quell’evento straordinario e folle del sedersi in una sala buia per perdersi in un luogo altro con degli sconosciuti con cui si è pronti a vivere un’emozione. E ha parlato poi dell’importanza dei Festival come luoghi capaci di mettere in comunicazione, non solo le persone che lavorano nel settore e portano avanti una passione che è condivisa anche da chi è solo e semplicemente un fruitore cinematografico, ma anche di creare una connessione tra il passato e il futuro, perché ogni Festival (questo festival in particolare, grazie alla line up studiata con il direttore Barbera) è un’occasione di incontro con artisti, creativi emergenti, e attraverso questo dialogo ogni Festival va a formare il pubblico che sarà. Il cinema che sarà. Il mondo che sarà. Foglietta ha poi preso il centro del palco per presentare le varie giurie: la giuria del Concorso è guidata da Cate Blachett, appunto (Australia), con Matt Dillon (USA), Veronika Franz (Austria), Joanna Hogg (Gran Bretagna), Nicola Lagioia (Italia), Christian Petzold, Germania, e Ludivine Sagnier (Francia). La giuria di Orizzonti è composta, invece, da Claire Denis (presidente, Francia) con Oskar Alegria (Spagna), Francesca Comencini (Italia), Katriel Schory (Israele), Christine Vachon (Francia). La giuria del Premio Venezia Opera Prima “Luigi De Laurentiis”- Leone del Futuro vede Claudio Giovannesi (presidente, Italia) con Remi Bonhomme (Francia), Dora Bouchoucha (Tunisia). La sezione Venice Virtual Reality, infine (non in sala), è composta da Celine Tricart (presidente, USA), Asif Kapadia (Gran Bretagna), Hideo Kojima (Giappone).
Segue poi la consegna del Leone D’Oro alla Carriera a Tilda Swinton, con una laudatio splendida di Joanna Hogg, regista e sceneggiatrice britannica quest’anno giurato del Festival, che ha parlato della persona oltre l’artista (le due si conoscono molto bene dato che si conoscono fin dalle elementari – stessa classe di Lady Diana, tra l’altro) e dell’impatto e del contributo della sua presenza nel cinema a cui Tilda Swinton ha risposto con un discorso d’amore per il cinema, suo luogo felice, la sua vera madrepatria, il luogo in cui hanno posto i componenti del suo albero genealogico, la sua tribù, e con le parole che vi trascrivo, perché meritano:

[…] la sublime Venezia, il festival di cinema più venerabile e maestoso della Terra, [grazie] di aver alzato la sua bandiera quest’anno […] per ricordarci che certe cose non vanno da nessuna parte, che mentre facciamo i conti, mentre impariamo a riporre la nostra fiducia nell’evoluzione e nei suoi inevitabili cambiamenti, mentre grati e irrevocabilmente ci liberiamo di ciò che ci degrada e ci sconfigge e scopriamo e impariamo ad assumere la responsabilità e ad avere cura di tutti i nostri tesori, naturali e culturali […] possiamo continuare a fare affidamento sul grande, elastico, vasto, selvaggio, brioso, sconfinato e perpetuamente inclusivo Stato del Cinema. Abbiamo tutto quello di cui abbiamo bisogno.

concludendo con un ‘Wakanda forever’ per Chadwick Boseman che mi ha fatto vibrare la schiena. C’è stato il momento poi della proiezione di un video con il montato di varie risposte da parte delle star cinematografiche alle domande: ‘Il cinema è?’ e ‘Il cinema è necessario perché?’, più o meno argute a seconda, ovviamente, anche del livello di di chi ha risposto alle domande, tra cui vi segnalo: ‘Il cinema è un passaporto’ di Katherine Waterstone e ‘Il cinema è quel luogo che ci fa stare insieme nel buio’ di Todd Haynes e la risposta di Aaron Taylor-Johnson che ha filmato e stessa riflessa nella vetrata dietro la quale Sam lavava i piatti, e Edward Wright che si lamenta di dover filmare ‘con questo ca**o di I-Phone’ e Dustin Hoffman che risponde con i suoi tre nipotini infanti tra le braccia. Poi, il momento clou della serata con la ‘salita’ sul palco dei sette Direttori con una lettera che invita tutti noi a prenderci cura delle sale cinematografiche per superare la crisi che ha colpito il settore, in un momento in cui, nonostante il blocco della produzione e della fruizione nelle sale, nelle nostre case il cinema non è mai stato più presente. Otto direttori (manca fisicamente quella del Festival di Londra, Tricia Tuttle) in rappresentanza della comunità dei Festival di tutto il mondo: Alberto Barbera (Venezia), Carlo Chatrian (Berlino), Thierry Frémaux (Cannes), Lili Hinstin (Locarno), Vanja Kaludjeri (Rotterdam), Karel Och (Karlovy Vary), José Luis Rebordinos (San Sebastian). Mi sembra necessario stare insieme per fare forza.

Buon Festival del Cinema di Venezia. Bentornati a tutti.

Andate al cinema. Che ci fa bene.