C’è una città del Sud Italia dove c’è più nebbia che a Milano. Sale spessa dai fiumi la mattina negli orari in cui i ragazzi vanno a scuola e una sirena suona come un vecchio gallo dietro l’industriale; sale dalla terra tra i filari delle viti, macchia l’uva di rugiada e poi scompare, risucchiata dal giorno che, spavaldo, segna il corpo delle cime che formano colei che qui riposa e fa sognare, la Dormiente. C’è una città in cui si producono pasta, vino, torrone e un liquore giallo che fa leggere libri. C’è una città che ha sempre fatto il tifo per le sue squadre. Di rugby, di scherma, di pallavolo e di basket. Anche il pattinaggio corsa ci ha dato le sue soddisfazioni, così come il ciclismo. Nei miei ricordi di bambina è solo il calcio lo sport in cui si andava ‘maluccio’. Ricordo che anche ‘a noi femmine’ veniva insegnato che i gladiatori sono sempre gladiatori, la loro forza sta nel coraggio di scendere nell’arena; da noi nell’epoca romana c’era una scuola di gladiatori, ce l’abbiamo nel sangue, e allora anche quegli stregoni lì, i calciatori, andavano seguiti, ‘sarà quel che sarà’ cantiamo ancora oggi. E quindi all’epoca ‘mi innamoro solo se giallo rossa è la maglia’, anche se i calciatori erano un poco scarsi e bisognava andare a vederli giocare in paesini dai nomi strani, spesso vicino casa. Forse perché siamo pigri e ci piace fare le cose vicino casa, forse perché ‘il pallone’ è un po’ come la musica che quando ti arriva sembra facile, ti pare di avere il diritto e la forza di canticchiare così come di tirare un calcio alla sfera rotonda anche se nessuno ti ha invitato a farlo…Il tifo beneventano è stato sempre tanto. E poi quei colori lì, il giallo e il rosso, sanno banalmente di sole e cuore, che anche i bambini più piccoli sanno disegnare. Forse a Benevento si va in tanti allo stadio perché il vento che arriva e fa girare le pale è un vento freddo, e sugli spalti a stare stretti ci si sta bene sempre e alla fine il canto della curva pare riscaldare anche quelli che giocano coi calzoncini corti sull’erba.
Forse a quei due fratelli delle pale e del vento è venuto in mente anche questo quando hanno detto: ‘Vediamo che succede se ci crediamo più forte’.
Forse qualcuno gli aveva detto che non si poteva fare, che il vento non si può controllare e che bisogna stare coi piedi per terra anche se un piccolo passo il Benevento lo aveva fatto con il passaggio in C2.
Quei due fratelli, quelli del vento (che poi la città è piccola e quando c’è una partita allo stadio il vento ne porta i cori dappertutto) devono aver pensato ‘Ma chi lo ha detto che dobbiamo essere scarsi tutta la vita?’
Ci si sente forti quando non si è soli. Deve essere stato bello creare qualcosa insieme, chiudere gli occhi e crederci fortissimo.
Non so come abbia fatto Oreste a tornare dopo la scomparsa di Ciro. Non so come si faccia a sopravvivere a un fratello. Ciro e Oreste avevano creduto che si possono provare anche le cose grandi, che se ci si crede le cose si fanno; che se la gente canta è giusto dargli uno spettacolo che meriti quel canto.
Forse Oreste è tornato perché i tifosi non hanno mai smesso di cantare.
Lo stadio di questa città si chiama Ciro Vigorito, in onore di uno che ci ha creduto.
La squadra che oggi gioca è la stessa che ha pianto un allenatore, quel ragazzo di 37 anni di Carmelo Imbriani, ed è sempre la stessa che ha provato a spalare per riprendersi lo spazio per giocare a pallone, quando, dopo l’alluvione del 2015, Benevento è stata lasciata sola. Il canto è stato ancora più forte. Da allora, in questi ultimi due anni, i cori hanno invaso ogni vicolo. La città è piccola, i calciatori si confondono agli abitanti, imparano la lingua locale, bevono falanghina e Strega. Questa è la squadra in cui i Vigorito hanno creduto; questa è la squadra per cui il tifo è persino cresciuto. Questa è la squadra che è passata in serie B e, poi, in serie A.
Non era mai accaduto nulla del genere nella storia del nostro Paese.
Voglio credere che sia perché abbiamo imparato che è bello creare qualcosa insieme, chiudere gli occhi e crederci fortissimo. Lo abbiamo fatto per Ciro, per Carmelo, per la nostra terra.
Per quei calciatori che sono arrivati qui, ci hanno creduto e sono diventati gladiatori.
Lo abbiamo fatto perché il vento e i fiumi di Benevento fanno rumore.
Lo abbiamo fatto perché un giorno un fratello si è sentito solo, perché nessuno si senta più solo e senza canto nella terra della Dormiente.
Siamo il Benevento Calcio e siamo in serie A. Siamo ancora di più a cantare ‘sarà quel che sarà’.
Grazie giallorossi. Per ogni magia del passato, del presente e del futuro.