Sono tornata. E sono tornata con un ‘peccato’, che è quello che ho pensato dopo quest’anteprima nell’era del COVID 19, senza problemi di distanziamento sociale, ben felice di poter riprendere ad entrare, anche con l’obbligo di mascherina, nella sala buia. Peccato. Seguire e sostenere registe italiane giovani come Giorgia Farina è sempre un piacere, soprattutto quando magicamente riescono a districarsi benissimo nel difficile mondo italiano e a portare a casa, sopportati da produzioni coraggiose, un cast di tutto rispetto come quello di Guida romantica a posti perduti che vede insieme Clive Owen (ebbene sì) e Jasmine Trinca (davvero dobbiamo spiegarvi chi sono??? vi segnalo solo una delle più grandi interpretazioni del primo, in uno dei miei film preferiti, Closer del compianto Mike Nichols, e la prima pellicola nella quale Jasmine Trinca ha fatto vedere il suo dentino storto e gli occhi grandi, La stanza del figlio di Nanni Moretti) e una storia valida che hanno portato questo lungometraggio alla Giornate degli Autori del festival di Venezia dell’Anno Zero. Però, diamine. Però. Giorgia Farina parte da un interno, da due appartamenti di uno stesso palazzo romano; uno, quello superiore, in cui si parlano tre lingue, quella di Benno (Clive Owen), inglese conduttore di un programma che racconta l’Italia delle piccole grandi cose (anche quelle romantici posti perduti in cui si regala la salsa fatta in casa e i sarti sono star locali), quella di sua moglie francese (una stupenda Irène Jacob, la stessa di Tre colori – film rosso di Kieslowski), l’infermiera Brigitte, e l’italiano del Paese in cui hanno scelto di vivere e che Maurice, il loro golden retriever, sembra comprendere perfettamente; l’altro, quello di Allegra (Jasmine Trinca) che studia quasi ogni lingua dei posti di cui scrive come blogger di viaggi sotto lo sguardo di un amore fresco, incantato e romanissimo del giovane Michele (il 25enne, veneto, Andrea Carpenzano, che si è portato a casa una menzione speciale al premio Biraghi ai Nastri d’Argento del 2017 per Tutto quello che vuoi di Francesco Bruni). Sono questi due mondi che si scontrano quando, caduto il velo di riserbo – per non dire scoppiata la bolla della profonda menzogna da cui erano coperte queste vite – che nasconde le fragilità di entrambi, Allegra e Benno si ritrovano a seguire la ‘guida romantica di posti perduti’ che Allegra aveva pianificato di testare con Michele e che prova che può farcela ad essere quella persona lì, di cui il ragazzo si era innamorato, e che li porta alle rovine della Chiesa nell’acqua di San Vittorino (nei pressi delle terme di Cotilia vicino Rieti) prima, alla fabbrica di Crespi D’Adda (il cotonificio Crespi in provincia di Bergamo), nel decadente Excelsior (nella realtà, il Palace Grand Hotel di Varese) e i suoi dintorni, all’Acquapark abbandonato delle foto di Allegra con sua madre (in realtà, si tratta dell’Acquapiper di Guidonia Montecelio, vicino Roma), al castello diroccato di Chateau-Thierry in Francia fino al campo militare in uso durante la Seconda Guerra Mondiale di Stanford, vicinissimo al paese natale di Brenno. Al luogo in cui è iniziata la storia di Brenno, in cui le birrerie hanno insegne che contengono la parola ‘die’, morte, e in cui Brenno sta cercando di tornare, seguendo Allegra, e cercando inutilmente di rallentare la perdita di se stesso, il suo diventare anch’egli rovina, luogo perduto. Però, nonostante la storia e il cast, il film è diviso in due parti in cui poco bilanciate, la prima troppo commedia, in cui Jasmine Trinca fa troppe faccette e sembra una novella Margherita Buy o Laura Morante (che amo ma su cui ho vari però) inseguita e avviluppata da mille nevrosi e con un’età forse diversa da quella del suo personaggio che non riesce a cancellare dalla sua faccia (c’è una battuta in cui Benno le fa notare che il ragazzo di cui è innamorata è molto molto molto giovane) e che, da persona di quella stessa età, avverto con una profondità e un essenza a cui non bastano cinque giorni per scardinarsi. O almeno, non con quella leggerezza. A me, inoltre, è mancato il romanticismo di quei posti perduti. Anzi mi sono mancati del tutto quei posti perduti. E mi sono chiesta se ci fosse stata una scelta da parte di Farina a mostrarcene meglio solo uno, ossia l’Acquapark. A rendercelo un po’ più concreto, vasca di cemento sotto le spalle da cui guardare il cielo. Nonostante questi elementi negativi, Guida romantica a posti perduti è un bel film che sa di Sofia Coppola, di Somewhere e Lost in translation, che sa parlare in un modo rispettoso e poco semplicistico dell’alcolismo e del modo in cui spesso ci si trova a condividere la stessa canzone con qualcuno che non avremmo detto mai potesse apprezzare una cosa del genere. E vale la pena ripartire, oggi che con molta cautela dobbiamo riprendere pian piano a riapprezzare cose e persone e luoghi, da una storia così. Da domani nei cinema italiani.