Barlow (l’australiana Juliet Doherty) è una ballerina che lavora in un call center mentre cerca di sfondare con difficoltà nel mondo dello spettacolo. Non è la sola a doversi dividere tra lavoretti che le consentano un minimo di sostegno economico e audizioni di danza in cui continua ad essere scartata spesso senza nemmeno essere vista davvero. Anche Charlie (l’inglese Harry Jarvis) ha poca fortuna nel trovare un posto qualsiasi come pianista ed è costretto a fare consegne in bicicletta per una pasticceria/panetteria. Le loro figure possono essere moltiplicate più e più volte in una città come New York in cui si riversano da ogni parte del Paese (e non solo) artisti in erba in attesa della grande chance. Zander Raines (il più famoso del trio, Thomas Doherty, che non è parente della co-protagonista ma che con i suoi addominali sovrasta tutti gli altri in locandina grazie alla sua partecipazione alla serie di musical Disney Descendants senza che ci sia davvero un perché dato che la storia è più centrata sugli altri due), invece, nonostante la giovane età, è un affermato coreografo, a Broadway per la produzione del suo nuovo spettacolo, ‘Freedance’. Il destino di questi personaggi confluirà durante le selezioni dei ballerini dell’opera del perfezionista Zander. La viscerale passione per l’arte che li nutre riuscirà a creare un legame e a superare qualunque incomprensione o creerà problemi all’intero show?
New York Academy Freedance è un film che ricalca un po’ la linea già tracciata dal primo film della stessa coppia di autori, New York Academy (una storia d’amore tra Ruby, una ballerina – Keenan Kampa – e Johnnie, un violinista – Nicholas Galitzine; il titolo originale della prima pellicola è High strung, ossia ‘nervoso’) una doppia declinazione di una sorta di autobiografia romanzata del legame tra Janeen e Michael Damian, produttori, lei ballerina e lui musicista che volevano (cit.) ‘fare un film per celebrare due mondi che sono così tanto importanti’ per loro. Quante declinazioni di se stessi i Damian sentiranno ancora l’esigenza di creare? Evidentemente tante quante il numeroso pubblico amante dei talent sarà disposto a guardare.
Unico personaggio ricorrente nei due racconti è quello di Oksana (Jane Seymour) che nel primo film era l’insegnante di danza di Ruby e, in quest’ultimo, è la madre di Barlow che spinge la figlia a cercare di più che le file posteriori di uno spettacolo (come se la ballerina avesse il potere di imporsi ai coreografi nella scelta di un ruolo). Personalmente sono stata più convinta dal primo capitolo della serie, non solo perché il protagonista maschile in New York Academy del 2016 è uno solo, Johnnie, ribelle, autodidatta e un po’ dannato, ma anche perché i profili dei personaggi sono più chiari: in Freedance, mentre il personaggio di Barlow è appena accennato in questo suo rapporto contrastato con la mamma (tra l’altro, non si capisce bene il motivo del contrasto dal momento che madre e figlia nutrono e inseguono la stessa passione e nessuno ha in mente di tentare di obbligare la ragazza a fare altro – giurisprudenza o medicina ad esempio, come nei migliori cliché della serie), Charlie ha solo il presente che si realizza in un contatto con un’anziana pianista a cui fa le consegne e confidenze superficiali ai suoi colleghi di lavoro (tra cui l’ottimo rapper Ali Tomineek). Inoltre, a mio parere, la capacità attoriale è alquanto limitata, soprattutto quella di Juliet Doherty, capace di indossare una sola espressione per la delusione, la rabbia, la felicità (quasi comica la sua faccia nello scoprire la truffa della coinquilina) ma, per fortuna, si riprende alla grande nelle performance di danza in cui il suo corpo esprime esattamente quello che le si chiede di dare. Per il resto, posso solo aggiungere che la voce italiana di Thomas Doherty in questo film sembra ‘incollata’ alla sua persona e che per un personaggio del genere avrei scelto un attore più adulto, anche perché il suo assistente è interpretato da Desmond Richardson, un artista grandioso, primo ballerino afroamericano dell’American Ballet Theatre, co-direttore del Complexions Contemporary Ballet (noto persino alle vostre nonne perché è persino stato ospite del nostro Amici su Canale 5).
In ogni caso, a me è venuta voglia di risalire su un palco. Quindi, se avete voglia di un film in cui il massimo dell’impegno che l’arte richiede è una maglietta bagnata (molto diverso dalle dita sanguinanti di un film, invece, eccelso sulla danza tra poco in Italia, ossia Girl di Lukas Dhont) ma che vi faccia, però, sognare per un paio d’ore raccogliendo la bellissima New York in un’inquadratura da un drone e 150 metri di Broadway e Central Park tifando affinché trionfi l’amore, avete trovato quello che stavate cercando.