Non sapevo che Austin, in Texas, fosse considerata la capitale del mondo della musica. Per me era solo la città di Psycho, lì dove tutto iniziava.
Terrence Malick mi ha insegnato che è qualcosa di più.
Vi si svolgono il Fun fun fun Fest (dal 2006), il South by Southwest (l’SXSW, non solo musica, ma anche innovazione a 360 gradi, tecnologia, cinema dal 1987) e l’Austin City Limits (l’ACL, che viene registrato per essere trasmesso in tv dal 1976) alcuni dei più grandi festival di musica rock al mondo.
In questi giorni, in cui ancora una volta (il Manchester Arena come il Bataclan) il terrorismo sta dichiarando guerra a tutto quello che è compreso anche in questo film, mi fa specie scriverne.
In una città perfetta per costruire qualcosa, ricominciare o scrivere una canzone, BV (Ryan Gosling) è un musicista. Ha le scarpe sempre sporche: ho pensato fosse uno che può scegliere di camminare dove vuole senza farsi nemmeno il problema che gli altri poi glielo facciano notare. Faye (Rooney Mara) è una cantautrice, giovane, che ancora non sa. I due si incontrano, si piacciono. Ciondolano l’uno verso l’altra. Poi c’è Cook (Michael Fassbender), un produttore musicale – fighissimo – che instaura con entrambi un rapporto molto particolare (perché attira come una calamita per il suo fascino, la sua intelligenza e il suo successo) finché qualcosa non si rompe. O meglio, finché non distrugge anche quello – come tutto il resto che tocca. Perché lui è in ‘caduta libera’.

Nel film, ritornano alcune muse di Malick già presenti in Knight of Cups: la straordinaria Natalie Portman (bellissima, debole, innocente e sciocca la la cui immagine nell’acqua mi ha ferita e accompagnata per un po’) e Cate Blanchett (che ha anche offerto la sua voce a Malick anche per il documentario Voyage of time e che per me, dopo la sua interpretazione in Blue Jasmine di Woody Allen, è eterna), insieme a Holly Hunter (anche qui poco da aggiungere), Berenice Marlohe (uno schianto di femmina, capace di attrarre anche un pezzo di mobilia) e uno strambissimo Val Kilmer (tanto di cappello alla sua ironia). A loro si è unita la cantante Likke Li (quella della hit dell’estate 2013 I will follow) che, a differenza degli altri artisti musicali coinvolti nel film, recita qualcosa che va oltre se stessa. Iggy Pop, Patty Smith, Anthony Kiedis, Michael Peter Balzary e Chad Smith dei Red Hot Chili Peppers, John Lydon dei Sex Pistols, Florence Welch dei Florence & the Machine sono alcune delle star coinvolte da questo incredibile progetto che va a chiudere il ‘trittico senza sceneggiatura’ cominciato con To the wonder.

Certo, se non vi piace lo stile di Malick russerete in sala come i giornalisti che erano seduti accanto a me all’anteprima (che, comunque, è meno ‘mentale’ di Tree of life durante la cui visione, il mio amico Beppe dormiva talmente tanto profondamente da sbavarmi addosso). A me questa ricerca della bellezza e del senso delle cose in ogni minima inquadratura, tipica del regista statunitense piace. Mi lascia il tempo di specchiarmi e farmi delle domande durante. Mi cattura e mi avvolge.

Song to song  parla di musica e successo, del sesso che è fantastico ma può diventare dozzinale, del tradimento e del perdono, della resistenza dell’amore, quello vero, che ci rende migliori di quello che pensiamo, forse, o peggiori, perché ci spaventa e ci porta a tradirci e a farci del male.
A me è rimasta la voglia di abbracciare Patty Smith e scegliere cose semplici come un buon paio di scarpe dove poter camminare dove mi va.

Speriamo che quello che ho sia ‘il giusto cuore’, come si domanda BV.