Giuseppe salta un ostacolo a cavallo. Ha il sopracciglio alzato, lo sguardo concentrato. Forse trattiene il respiro mentre vola.

Penso di averla vista per la prima volta in bianco e nero quella foto. Forse sulla rivista Gente che leggeva mia nonna. Non ne sono sicura. Giuseppe aveva un anno più di me. Potevo essere io. Quella foto mi ha ossessionata per moltissimo tempo, insieme a quella di Giancarlo Siani, curvo, senza vita, nella sua strana macchina verde. Prima di Giancarlo e di Giuseppe, la mafia aveva un codice d’onore: non si toccavano bambini e giornalisti.
Sicilian Ghost story è stato scritto e girato da Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, quelli che con Salvo nel 2013 hanno vinto il Grand Prix e il Prix Révélation al Festival del cinema di Cannes. È  tratto dal racconto Un cavaliere bianco di Marco Mancassola, parte della raccolta Non saremo soli per sempre edita da Einaudi che parla di Giuseppe Di Matteo, sequestrato per 779 giorni per far tacere suo padre, Santino Di Matteo, mafioso e collaboratore di giustizia (rivelò i nomi dei mandanti dell’omicidio di Giovanni Falcone). Il ragazzo a 15 anni, 25 mesi dopo il rapimento, fu strangolato e sciolto nell’acido per ordine del capo mafia Giovanni Brusca.
Sicilian Ghost Story apre la Semaine de la Critique di Cannes 2017. È il primo film italiano ad avere questo onore.

Il film segue le tracce di Luna, una ragazzina di tredici anni innamorata di un suo compagno di classe, Giuseppe (i due sono interpretati da due ragazzi del quartiere Zisa di Palermo, Julia Jedlikowska e Gaetano Fernandez, selezionati per i ruoli dei protagonisti dopo nove mesi di casting). Giuseppe dopo scuola ‘vaga per i boschi. Chissà se si è già reso conto di essere seguito da Luna; concede lo spazio di un tocco ad una farfalla e poi gioca un po’ con la sua amica, dato che gli è chiaro l’interesse di lei nei suoi confronti. La madre di Luna non è contenta che lo frequenti e non è l’unica a prendere le distanze dalla famiglia del ragazzo. Giuseppe accetta la lettera che lei gli ha scritto, sulla quale Luna ha disegnato la costellazione di Pegaso.
La porta al maneggio per farle vedere come salta gli ostacoli con il suo cavallo, prende la lettera, le dà un bacio.
E scompare.

Ha un inizio inquietante Sicilian Ghost Story. Ci troviamo in una sorta di grotta dove ci osserva una piccola civetta.
Ci sembra di entrare in un passaggio, una zona scura nella roccia piena d’infiltrazioni d’acqua.
Forse solo riuscire a passare dentro il buio riesce a farci andare avanti. Il film siciliano ricorda le atmosfere de Il labirinto del fauno di Guillermo del Toro e delle favole dei Grimm. La crociata di Luna per ritrovare Giuseppe in una cittadina – una città, un Paese – in cui regna l’omertà (e non si capisce se anche il distacco della famiglia della ragazza sia dovuto al fatto che il padre di Giuseppe era un mafioso oppure per il suo essere divenuto un pentito) la fa sembrare una sorta di Giovanna D’Arco o, per chi preferisce riferimenti televisivi, una piccola Fantaghirò.
Mentre fa a tutti la domanda: ‘Giuseppe non c’è. E tu che fai?’ sembra essere l’unica a ricordarlo ancora.
Ad aiutare i protagonisti alle prime armi (più convincente Jedlikowska, meno Fernandez), Vincenzo Amato nei panni del padre di Luna (io l’ho amato in Respiro e Nuovomondo di Crialese ma mi ha deluso tantissimo in Vinodentro di Vicentini) e Sabine Timoteo nel ruolo della madre (scelta che resta un mistero dato che Timoteo è svizzera e parla molto male l’italiano; inoltre, il suo personaggio non acquista nulla in più dall’essere straniero e mi lascia molto scettica anche la modalità in cui è stata disegnata la sua figura – si tratta di una donna austera e molto elegante, mentre il padre di Luna sembra una persona modesta e molto alla mano; ha anche qualcosa di stregonesco tanto che, quando Luna le chiede aiuto, siamo portati a credere che interverrà con qualche magia e crediamo di doverla riconoscere nella figura che guida Luna nei suoi sogni verso Giuseppe – invece si tratta della madre del ragazzo…). Ho trovato ridondanti molte scene e, personalmente, avrei scelto un titolo diverso, di sicuro non in una lingua diversa dall’italiano. E poi non avevo mai visto usare il gel per far sembrare più corti dei capelli…Insomma, credo che si possano usare degli escamotage meno imbarazzanti dell’uso di un fissante per capelli se l’attore non li vuole tagliare.

Il ritmo del film è davvero molto lento. Peccato, perché resta molto interessante la chiave con cui Grassadonia e Piazza hanno scelto di raccontare una tristissima e dolorosissima pagina della storia italiana: la fantasia – nel senso del ricorso ad una storia finzionale ma anche del mood fantastico del film – e l’opposta accuratezza, quasi documentaristica, di alcuni dettagli riguardanti il rapimento e l’assassinio del ragazzo. Bello anche che i due registi e sceneggiatori abbiano raccontato una storia d’amore eterna in cui solo l’intervento di Giuseppe – reale o appartenente al sogno, non importa – salva Luna.

In ogni caso, ci si vergogna quasi nel vedere questa tremenda storia avere un corpo, degli occhi che rileggono un’infantile lettera d’amore per tenersi a galla e lo spazio di un incavo nel volto scarno per raccogliere l’ultima lacrima.

Mai più.