Si j’etais un homme è un titolo che fa pensare ai desideri, a quelle frasi dette troppo ad alta voce come ‘Voglio diventare grande’  (in Big di Penny Marshall con un giovanissimo Tom Hanks e nel nostro italianissimo Da grande di Franco Amurri con un grandioso Renato Pozzetto) oppure ‘Vorrei stare nei tuoi panni’ (come in Vice Versa di Brian Gilbert, nella sua versione femminile Quel pazzo venerdì di Mark Waters e in tutti i remake che ne hanno fatto) e il film proprio di questo tratta: di un desiderio detto ad alta voce in modo provocatorio, perché – diciamoci la verità – non c’è protagonista che si rispetti che non si lamenti della propria condizione per poi fare di tutto per tornarci.
Non male però – almeno una volta posso scriverlo – la scelta italiana di tradurre il titolo del film di Audrey Dana (con Audrey Dana alla regia, alla sceneggiatura, all’adattamento, ai dialoghi e nel ruolo della protagonista…) con Qualcosa di troppo.
Il ‘qualcosa di troppo’ compare quando Jeanne cerca di recuperare il suo matrimonio fallendo, finge di riuscire a gestire il rapporto con i suoi figli ma le viene tolto l’affidamento e, per dimostrare a se stessa l’esistenza di un lato positivo in questa situazione, si finge libera facendo sesso con un collega, cosa che la mette in difficoltà anche nell’ambiente lavorativo. Che fare se non lamentarsi e riflettere sul suo essere femmina, cosa che – a suo dire e anche un po’ a ragione – la pone in una condizione di svantaggio (soprattutto considerando che Jeanne è un architetto ed è costretta a lavorare – unica donna – in un cantiere)? Così Jeanne chiede un pene al cielo e lo ottiene.

Il film ha dei momenti esilaranti, soprattutto quando Jeanne si interfaccia con il suo ginecologo, il dottor Pace (interpretato dallo straordinario Christian Clavier) che ha un modo veramente buffo e assolutamente non volgare di tentare di aiutarla. Il solo possedere un membro maschile fa cambiare l’atteggiamento di Jeanne nei confronti della vita, le fa acquisire sicurezza, le fa gestire le situazioni in modo molto più diretto e le consente perfino una vendetta sul marito, nei confronti del quale ha sempre avuto un atteggiamento di remissione nonostante il tradimento, l’abbandono e l’assurdo ottenimento dell’affidamento dei figli. Tutto ciò anche grazie al fatto che il suo cervello, come sottolinea la sua amica Marcelle – interpretata da una bellissima Alice Belaïdi – resta femminile; così Jeanne è presentata nel racconto come una specie di mutante quasi perfetto, una donna con l’unico elemento maschile che potrebbe esserle utile. Il film, ovviamente, gioca sull’estremizzazione delle caratteristiche dei generi, ma, nonostante il suo essere una commedia leggera, offre comunque degli spunti di riflessioni sulle differenze e somiglianze tra uomo e donna e sui rapporti tra essi.
Personalmente, nonostante riconosca la sua capacità attoriale, arriccio un po’ il naso di fronte all’autoreferenzialità di Audrey Dana. Inoltre, estremizzando la figura del suo personaggio rendendola quasi una maschera da commedia dell’arte, la sua recitazione stride soprattutto nel confronto con Merlin, il collega con il quale Jeanne ha avuto un rapporto di cui non ricorda assolutamente nulla e che lavora nel suo stesso cantiere, interpretato da Eric Elmosnino in modo molto naturale e realistico.

Nonostante questo, Qualcosa di troppo resta uno di quei titoli, non troppo stupefacenti però (anche la tempesta che consente la trasformazione è ormai un cliché nei racconti del genere), da aggiungere alla lista dei film da poter vedere con le amiche dopo aver ordinato pizza, birra e quintali di gelato.