La luce. L’abbaglia, ne delinea il contorno, la sorregge e la carezza. Ginny (Kate Winslet) sembra emergere, dissolversi o divenire un’altra in quella luce. Il racconto si svolge tutto a Coney Island negli anni ’50. La voce narrante di Mickey (Justin Timberlake) il bagnino – l’uomo sulla torretta che sovrasta tutto il bagnasciuga – ci fa da guida anche se non sa tutto; è molto preso dalla luce che riflette se stesso e il suo punto di vista è parziale. Fa il bagnino d’estate ma frequenta il college e vorrebbe diventare uno scrittore. La luce si riflette sulla pelle di Ginny un pomeriggio che passeggia sulla spiaggia prima di rientrare a casa; è una donna matura che lavora come cameriera in una crostaceria lì tra le giostre, ha un figlio di una decina d’anni, piromane, nato dal suo precedente matrimonio e vive in quella che potrebbe essere stata la biglietteria di uno dei divertimenti, proprio dietro ‘la ruota delle meraviglie’, nel luna park dove lavora anche suo marito Humpty (Jim Belushi), un ex alcolista che ha bisogno di lei per stare lontano dalla bottiglia, in cui tutto è luce e ombra, quasi una finta scenografia di un teatro, parte di quel mondo fittizio e deludente di un carosello che perde lo stupore di chi lo guarda di rado e lo vive come un premio, come uno scoppio di adrenalina, ma mostra ogni scrostatura di vernice e difetto per l’osservatore che guarda troppo da vicino. Mickey per lei è una boccata d’aria fresca in una vita a cui sembra aver ceduto per scontare il male che ha fatto nel passato.
A personaggi già complessi, pesanti di un passato che li fa muovere con fatica, si aggiungono il visino e la figura di Carolina (Juno Temple), figlia ventenne di Humpty nata dal suo primo matrimonio che complica tutti ancora di più, svelando aspetti dell’essere di ognuno di cui si stupiscono gli stessi protagonisti. Nonostante abbia rotto ogni rapporto con suo padre, Carolina crede che la sua casa sia l’ultimo posto in cui suo marito, un gangster da cui sta fuggendo e con cui si era legata nonostante l’opposizione del genitore, potrebbe cercarla. Humpty prima cerca di respingerla ma poi sembra trovare una nuova speranza (redenzione?) nell’aiuto che dà alla ragazza che porta con sé un’aura diversa da quella che illumina Ginny e che non la fa passare per nulla inosservata.
Woody Allen (sceneggiatore e regista) e Vittorio Storaro (direttore della fotografia) sembrano ricamare come una sarta di lunga esperienza e gusto sopraffino un racconto in cui ogni elemento sembra aderire alla perfezione a tutto il resto. Ogni piccolo movimento di macchina, ogni movimento del sopracciglio di Kate Winslet, ogni goccia di sudore sul corpo di Jim Belushi sembra accordarsi al resto per aggiungere dimensione alla storia. Personalmente, dal cinema sono uscita delusa. Mi è parso di cercare qualcosa di nuovo ma quello che avevo invece avevo trovato era lo stesso sapore amaro sotto la lingua nel ricordo delle letture delle pieces teatrali di Tennessee Williams e delle visioni di film tratti da quegli scritti – Un tram che si chiama desiderio su tuttio in generale dall’osservazione del lavoro attoriale e dalla presenza di dive come Vivien Leigh o Joan Fontaine, Bette Davis o Joan Crawford; di figure presenti in Rebecca, la prima moglie o Che fine ha fatto Baby Jane? tanto per rendere l’idea.
Solo il giorno dopo ho capito che è proprio in questo classicismo la grandezza di questo film meraviglioso, di questo enorme occhio di bue puntato sulla straordinaria Kate Winslet che – ancora una volta e qui più che in altre occasioni – si dimostra una delle più grandi attrici della storia. Una volta un regista teatrale, Gabriele Vacis, mi disse che lavorare con delle grandissimi attrici – mi parlava di Franca Valeri – è pazzesco perché non si deve far altro che capire di cosa hanno bisogno, ossia occuparsi di cose che paiono banali come la tipologia di oggetti scenici con cui circondarle…una sedia su cui possono appoggiarsi piuttosto che un bicchiere col cui bordo possono suonare durante la ricerca del loro personaggio. Il resto quelle attrici lì lo fanno tutto da sole. Mi è rivenuto in mente quest’osservazione di Vacis guardando La ruota delle meraviglie; ho pensato che anche in questa occasione (come anche con Kate Blanchett in Blue Jasmine) pure Allen deve aver semplicemente circondato Winslet di cose – abiti, piatti, crostacei – e di una luce per farle cercare tutta la meraviglia del sé e dell’oltre di sé contenute in Ginny. Ginny tocca tutti e ne decide il movimento. Alla fine, per non subire la rotazione della ruota che ci riporta sempre al suo inizio, basterebbe lasciare il luna park. Allontanarsene il più possibile. Ma una volta che la giostra ci è sembrata quella delle meraviglie è proprio difficile andare via.
Pazzesco, davvero. Terribile, davvero.