Quanto sono belle le espressioni ‘non stare in sé dalla gioia’ e ‘darsi alla pazza gioia’? Vogliono dire che abbiamo la possibilità di raggiungere un grado di felicità talmente alto da rendere il nostro corpo troppo piccolo per contenerla, tenere dentro di noi quella cosa lì, come fosse acqua che, raggiunto il limite di un contenitore, straborda e bagna tutto quello che è attorno; abbiamo la possibilità di fare anche qualcosa di talmente gioioso da poter essere scambiati per pazzi.
Eppure perché in alcuni dei nostri momenti più felici o più disperati ci è stato chiesto ‘ma sei pazzo?’ Ma non era una cosa bella non stare in sé una volta tanto?

Sono pazze Donatella e Beatrice. Ci sembrano diverse da noi all’inizio.
Donatella (Micaela Ramazzotti) è microscopica; appena uscita da un ospedale, la sua pelle ha qualcosa che non va, come se fosse rimasta chiusa in un barattolo. Lo sguardo non sta fermo, è sporca, troppo magra. Beatrice (Valeria Bruni Tedeschi) sembra un personaggio felliniano portato oltre di sé, con le sue tette esposte, la parlantina continua, le sue vestaglie di seta e gli abiti costosi. Finge di essere un medico della struttura di cui è paziente per impicciarsi e avere notizie su Donatella. Forse per noia, forse perché fa sempre così. Così si scontrano; e non si mollano più. Sono gli opposti eppure, inspiegabilmente, quasi senza scelta, vanno avanti insieme, riconoscendosi solo man mano, passo dopo passo, follia dopo follia. Seguendole in questo cammino, nella fuga progressiva dalla Villa in cui sono in cura e dalla malattia – in un viaggio divertente, tragico e coloratissimo – viene fuori il meglio e il peggio di queste due donne. Eppure anche nell’orrore della loro parte oscura, ci sembrano magicamente molto più simili a noi di quello che pensavamo all’inizio. Anche più umane di noi nel reciproco respingersi ed accogliersi.
La pazza gioia parla della follia, della paura e del maledetto bisogno e della ricerca di essere amati, della noncuranza di chi dovrebbe esserci più vicino, dell’essere genitori e di chi riconosce quel qualcosa dentro di noi che, nonostante tutto, li fa stare lì, ad aspettarci ad una finestra, per fare un altro passo insieme.

Paolo Virzì ha scritto questo film meraviglioso a quattro mani con Francesca Archibugi. Lo ha diretto con un amore che traspare dalla prima all’ultima inquadratura e da ogni minuscolo movimento di macchina. La pazza gioia è un film potente con due attrici straordinarie (e pensare che in passato mi sono dovuta ricredere su Micaela Ramazzotti che mi sembrava troppo perfetta fisicamente per poter essere brava). Valeria Bruni Tedeschi grazie al suo personaggio conquista il David di Donatello 2017 come miglior attrice protagonista. La pellicola vince anche quello per miglior film, miglior regia, miglior scenografia, miglior acconciatura. Mentre Valeria Bruni Tedeschi, ritirando il premio, pronuncia un discorso che l’ha fatta sembrare poco meno folle – e straordinaria – del suo personaggio, io penso che le deve essere costata una fatica incredibile recitare alla velocità di Beatrice. E chissà che fatica lasciarla andare. Non la dimenticheremo tanto facilmente neanche noi.
Grazie a queste storie che parlano del nostro Paese e delle persone che, nonostante tutto, vanno ancora avanti, si siedono su una spiaggia e sanno che possono ancora, nonostante tutte le ferite, essere il meglio di sé e avere un domani. Grazie a chi ha fiducia in loro e rimane ad osservarle, non troppo da vicino. Impariamo a prenderci cura. Anche solo di una persona alla volta. Anche solo raccontando una storia come ha fatto Paolo Virzì.
‘Tutto ormai è nelle tue mani, mani grandi, mani senza fine’, cantava Gino Paoli.