Bella la Milano de Gli sdraiati di Francesca Archibugi. È quella in cui mi muovo anche io, in bicicletta, con il tram, ad ogni ora del giorno e della notte, quella che cambia a seconda dell’orario in cui ti ci sposti. Quella che non è sempre grigia come credevo prima di viverci.
Il film è tratto dal best seller omonimo di Michele Serra che racconta di un padre, Giorgio (interpretato da Claudio Bisio), e di un figlio diciassettenne, Tito (Gaddo Bacchini) che sembra non muoversi senza il suo seguito di amici. Tra loro i ragazzi si chiamano ‘i Froci’ perché sono tutti maschi e stanno sempre insieme.
Serra li chiama ‘gli sdraiati’.
Sono quelli del titolo.
Giorgio è un noto conduttore di un talk show della RAI (che strambo riconoscerne il bar!), divorziato da Livia (Sandra Ceccarelli), architetto di fama, che non vede da sette anni nonostante frequenti assiduamente il padre di lei, tassista (il grande Cochi Ponzoni che in questo ruolo ci sta benissimo e che ci piace proprio tanto come nonno – e che bello che ci si ricordi che dietro le figure più borghesi ci sono, quasi sempre, i sacrifici di genitori umili) che, invece, ha un bellissimo rapporto sia con Giorgio che con suo nipote. Tito – seguito da tutta la banda di cui è l’unico con un nome vero e non con un nomignolo dovuto ad una caratteristica fisica o comportamentale – si divide tra l’appartamento di papà (nelle nuove costruzioni di Gae Aulenti) e quello di mamma (in Corso Sempione). Noi lo vediamo solo a confronto con Giorgio; Livia è solo una presenza relegata allo spazio di un videocitofono, una voce in un telefono, parte dei racconti di Pipin, il nonno, e una sedia vuota a un consulto familiare. Prende corpo solo quando viene colpita direttamente al cuore. Non da Giorgio però.
Gli sdraiati non parlano per niente o parlano troppo e a sproposito, si prendono troppa confidenza, sono invadenti, non si scusano mai, credono che tutto gli sia dovuto e rispondono sempre nel modo opposto a quanto ci si aspetta. Gli adulti, invece, sono fin troppo comprensivi, accondiscendenti e si preoccupano per ogni minimo ‘segnale’, spesso (per fortuna Giorgio non lo fa) li assecondano nei peggiori comportamenti, credono alle scuse più assurde pur di proteggerli dal mondo cattivo lì fuori, sono attenti a fare la spesa e a riempire il frigo affinché gli sdraiati abbiano di che mangiare e pronti a ripulire tutto quando hanno finito o si sono tolti dalle scatole. Per ripresentarsi, ovviamente senza avvertire, la prossima volta che hanno tempo e voglia. Nel film c’è anche altro – l’incontro di Giorgio con Rosalba (la bravissima Antonia Truppo, napoletana; ma voi come lo percepite il suo accento del Nord nel film?), sua ex cameriera e amante, che scopre essere madre della ragazza di Tito, Alice (Ilaria Brusadelli che sembra Avril Lavigne), il suo ‘innamoramento’ per la barista Annalisa (Barbara Ronchi) e il loro primo approccio – eppure Giorgio torna sempre da Tito, in confronto con il quale spesso sembra lui quello più infantile (gli chiede di dormire insieme quando è un po’ scosso, gli fruga nelle cose, insiste nel fargli domande e nell’invitarlo a passeggiare al colle della Nasca), perde tutta la struttura che lo sostiene come professionista, tutta la forza dell’adulto. C’è forse la consapevolezza che la fragilità dello ‘sdraiato’ dipenda dalle scelte dall’adulto, c’è il senso di colpa dell’aver condizionato e di condizionare ogni giorno la vita di un altro essere umano. C’è forse tutto l’essere genitore.
A un certo punto del racconto, Giorgio racconta di un romanzo fantascientifico che vorrebbe scrivere. Il sunto del film è tutto lì, nella visione della lotta per la sopravvivenza di un gruppo di giovani coraggiosi e silenziosissimi, e di un adulto, che prima voleva schiacciarli, ma poi si sacrifica per loro e per il loro futuro.
Uno dei ricordi più belli della mia infanzia è di un pomeriggio in cui i miei genitori, mentre andavamo in montagna, hanno fermato l’auto lungo il fiume e abbiamo fatto tutti e cinque il bagno in biancheria intima.
Insomma, fino al colle della Nasca con mio padre io sì che ci sarei andata.