A me Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità non è piaciuto. C’è stato un momento preciso durante la visione del film che per me era insostenibile restare seduta. Mi sono fatta violenza nel costringermi a restare lì, a non chiudere gli occhi e a non dare di stomaco. Ma forse era lì che Julian Schnabel voleva portarmi. Il regista di Basquiat, Prima che sia notte, Lo scafandro e la farfalla torna a raccontarci l’arte attraverso gli ultimi anni di vita del genio indiscusso di Vincent Van Gogh, che parte da una Parigi grigia in cui il suo lavoro viene sminuito alla ricerca di luce ad Arles dove viene considerato pazzo da tutti solo perché diverso, dal legame con suo fratello Theo (Rupert Friend) allo strambo rapporto con il pittore Paul Gauguin (Oscar Isaac, quasi irriconoscibile ma potentissimo). Willem Defoe presta corpo e anima a un personaggio talmente tormentato da risultare assolutamente credibile nei suoi occhi e nella sua pelle nonostante gli anni di differenza (Defoe ha 64 anni mentre Van Gogh all’epoca del racconto ne aveva 34) e sfiora un premio Oscar (ma vince la Coppa Volpi come migliore attore alla Mostra d’Arte cinematografica di Venezia) per una incredibile performance, per la quale è stato costretto ad approcciarsi alla pittura e a dividersi sulla ricerca di Van Gogh di accettazione da parte degli altri ma anche di fedeltà nei confronti di se stesso. La rappresentazione della natura sulla tela per Van Gogh coincideva con il tentativo di mettersi in contatto, in qualche modo, con Dio. Se un uomo nella natura vede Dio ed è convinto che Dio gli ha dato uno strumento – la sua arte – per mostrarsi agli uomini, dov’è la follia? Il regista Schnabel è anche un pittore. La sua conoscenza della materia è palese in ogni suo lavoro e ancora più esplicita in questo suo film. L’idea del lungometraggio è partita da una visita a una mostra che Schnabel ha fatto insieme allo sceneggiatore Jean-Claude Carrière (famosissimo per il suo legame con il cinema del maestro Luis Bunuel)  ‘Van Gogh/Artaud: Il suicidato della società’, ispirata al libro dello stesso titolo dell’artista francese Antonin Artaud (di cui vi consiglio di leggere tutto il possibile). Il film è la ricerca di ogni componente del suo team, sopra e sotto la linea (di cui si parla quando si compila un piano di produzione), di chiunque sia stato coinvolto in questo progetto grandioso sulla ricerca dell’opera d’arte perfetta che possa avvicinarsi a Dio e/o farci sfociare nella pazzia. La camera si muove come gli occhi e il ventre di Van Gogh. La sua inquietudine si fa pellicola, cresce a dismisura e a me risulta insostenibile, così come la probabile conclusione di questa storia, in cui Van Gogh non è suicida ma vittima della nostra incapacità di vedere la grandezza nel tentativo di chi non si risparmia per farci vedere la bellezza che riesce a contemplare. Gli artisti sono individui che hanno la capacità di andare oltre. Attraverso la loro arte, potremmo anche noi respirare un minimo di quell’immortalità. Se riuscissimo ad accogliere il loro invito, potremmo cogliere qualcosa, qui da questa soglia da cui possiamo intravedere qualcosa esclusivamente al loro passaggio.