Il giovane Holden fu regalato a mio fratello Tommaso da mio zio Aldo, la persona che mi ha invitato a leggere quando ero molto piccola e mi ha fatto vivere l’amore scaturito dall’accettazione di quell’invito come un dono enorme. Ricordo la copertina, bianca con un quadrato bianco –  o un quadro bianco o una cornice del nulla – sotto il titolo. Pensavo a queste cose quando ho visto Un anno con Salinger. La traduzione del titolo originale (My Salinger Year) è quasi letterale. Ma io non avrei intitolato il film in questo modo.

New York, anni ’90. Joanna (Margaret Qualley che, finalmente, a mio parere, ha imparato a recitare – era l’unica che davvero non si poteva vedere in tutto il cast della mia serie del cuore, The leftovers di HBO – adesso recita non muovendo solo ‘le appendici’, ossia non agitando solo braccia e gambe, urlando e piegando il busto, ma pare avere imparato che il corpo è un tutto) vuole fare la scrittrice. Le è bastata una visita a New York alla sua migliore amica per pensare di abbandonare gli studi universitari e il bel fidanzato popolare e tentare il tutto per tutto. Peccato che il tutto per tutto voglia dire dormire a terra a scrocco nella micro sala della sua amica e trovare lavoro in un’agenzia letteraria, dalla temuta e tradizionalista (contraria anche alla tecnologia, un po’ a caso, senza una vera comprensione di quello che voglia dire) Margaret (la meravigliosa Sigourney Weaver) che l’assume proprio perché alla domanda ‘Mica vuoi scrivere?’, Joanna ha risposto ‘No’. L’autore più importante coccolato da Margaret è nientepopodimeno che Jerome David Salinger, che da anni non scrive nulla ma già appartiene alla leggenda, sia per quello che ha scritto e i premi che ha portato a casa, ma anche perché, dopo aver assassinato John Lennon, Charles Manson si disse ispirato dal giovane Holden, protagonista dell’opera più famosa dello scrittore (sì, lo so che lo sapete). Tra i compiti affidati a Joanna c’è quello di leggere (per precauzione, dopo quello che è accaduto con la star dei The Beatles) e distruggere le lettere dei suoi fans rispondendo con una lettera precompilata e standard, ma alcune la toccano talmente tanto che non riesce a non farsi coinvolgere.

Il film di Philippe Falardeau (sceneggiatore del pazzesco In nome del figlio e regista del toccante e umanissimo Monsieur Lazhar) è colorato, leggero, nonostante la devastante continua consapevolezza di inadeguatezza di molte delle storie accennate all’interno, che restano così, ‘sopra’, ma, a pensarci dopo hanno lasciato il segno, le voci che si riconoscono in un personaggio fittizio, una figura dietro una vetrata che fa il segno con la mano. Sarà che a me Salinger è piaciuto tanto e davvero e che una di quelle lettere le avrei potute scrivere io. Per il resto, la storia raccontata dal film è quella classica del romanzo di formazione, in cui la ‘cattiva’ non è così cattiva e, personalmente, non ci vedo alcun rimando a Il diavolo veste Prada a cui fa riferimento anche la versione italiana del trailer, se non per le interpreti di peso, stupende entrambe (Meryl Streep e Sigourney Weaver), poco inclini alla messa in discussione ma con toni e anche con uno stile – anche solo apparente – differente (Sigourney Weaver con i maglioncini appoggiati sul petto e orride bandane a difesa del collo) e il destino, scontatissimo, di rivalsa delle giovani protagoniste. Eppure il sogno dovuto alla lettura, la mente che si apre all’ultima pagina del romanzo, vale la pena della visione. A noi, gente con la testa e il cuore sempre in compagnia di un personaggio di cui stiamo leggendo le gesta, ci fa sentire davvero tanto meno soli. Anche se non avremo mai il coraggio di riempire la pagina bianca, come Salinger ci chiederebbe di fare.