Vado quasi sempre a scatola chiusa. Al cinema, a teatro e anche nella lettura. Seguo alcuni registi e di loro non mi perderei nulla, soprattutto teatralmente parlando perché è più difficile che alcuni spettacoli arrivino in Italia e quando lo fanno (penso a Lev Dodin o a Peter Brook) non si può non essere in sala.

Spesso, però, compro biglietti di messe in scena di cui non so nulla, di cui non ho letto una recensione né conosco gli interpreti. Così. Per lasciarmi stupire e per poter scoprire. Anche coi libri funziona in questo modo. Alle volte mi attirano le copertine ed è un guaio perché alcune di esse al contrario mi respingono e, per questo, alcuni libri splendidi li ho letti molto tardi (un esempio su tutti Profumo di Süskind, il cui disegno in prima pagina mi faceva pensare ai disprezzati Harmony). Molto spesso leggo il nome di un autore e mi dico ‘Proviamo’. Così, alle volte, nascono dei grandi amori. Per quanto riguarda il teatro, i biglietti li compro molto o pochissimo prima, quindi quando si alza il sipario devo rileggere il titolo di quello che sto per vedere perché l’ho dimenticato o perché sono arrivata di corsa oppure perché così nulla potrà condizionarmi e impedirmi una fruizione più vergine. Come se ogni volta fosse la prima.

Così è stato per La tempesta. Coreografia di Giuseppe Spota. La danza. Un’altra cosa a cui credevo di essere ostile.
La storia della drammaturgia di Pasquale Plastino è quella di William Shakespeare. Su uno schermo in scena i piccoli Prospero e Antonio giocano con una corona che ha la forma del Duomo di Milano. Riconosco quelle immagini nel mio passato. La rivalità con un fratello, l’affetto e la competizione. Quel legame da cuccioli animali di cui il tempo non riesce a lavare la nostra pelle. Penso a mio fratello più grande, al suo respingermi e tenermi. I corpi sono già diventati adulti e respirano a un passo dal mio fiato sospeso. La corona passa dall’uno all’altro, i muscoli si contraggono, lo spazio cambia, gli specchi dividono ed è tempesta in cui ogni cosa è scossa. La lotta per il potere sembra eterna. La lotta per la vita anche. I ballerini sono natura. Ogni elemento inserito in scena è necessario e non accessorio; ogni microscopico movimento, carico di tutta la tensione che è propria delle cose in vita. Il nostro ministro degli interni ha chiuso i porti il giorno prima di questo spettacolo. Ogni corpo che resiste al mare per me è carne di cui sono responsabile. Non riesco a non essere in pena. Non riesco a non essere in questo qui ed ora. Da millenni mi sembra che la storia che raccontiamo sia sempre la stessa e non posso non collegare quello che vedo con il trambusto di questi giorni. Conosco il mare e ne ho rispetto, amore e paura. Sono tesa, sulla punta della mia poltroncina con ogni nervo in attesa. Poi il buio si rischiara e lo spazio è isola. Emergono figure dai pochissimi pezzi della scenografia di Giacomo Andrico. La storia si snocciola fluida come acqua. Le cose compaiono, i passi vengono fatti perché deve essere così. Il cuore mi batte fortissimo nel petto seguendo i bassi della musica. Compare un veliero in una teca; è un regalo. La vera tempesta che sconvolge anche me e rimette tutto in ordine è questa. Spero che arrivi anche qui e che sarò pronta per tentare la salvezza. Spero ci sia abbastanza magia in questo mondo perché io possa riemergere dall’abisso. Il cuore va a tempo anche quando esco dal teatro. Cerco con foga il nome del compositore sul libretto di scena ed è Giuliano Sangiorgi dei Negramaro. Sorpresa. Sorrido all’idea del lavoro artigiano del compositore. Sorrido alla bellezza dello spettacolo a cui ho assistito. Fatevi sorprendere dalle cose. Andate a vedere uno spettacolo che non avreste mai visto. Andate a vedere questo spettacolo. Per me è stata una prima volta di tante volte che verranno. Giuseppe Spota è un altro nome da seguire.

Le nostre feste sceniche son finite. Questi nostri attori, come del resto avevo già detto, erano soltanto degli spiriti, e si sono dissolti nell’aria, nell’aria sottile. E simili in tutto alla fabbrica senza fondamento di questa visione, le torri incappucciate di nubi, gli splendidi palazzi, i sacri templi, lo stesso globo terrestre e tutto quel che vi si contiene s’avvieranno al dissolvimento, e, al modo di quello spettacolo senza corpo che avete visto pur ora dissolversi, non lasceranno dietro a sé nemmeno un solo strascico di nube. Noi siamo fatti della medesima sostanza di cui sono fatti i sogni, e la nostra breve vita è cinta dal sonno. Io sono preoccupato, signore. Vogliate perdonare questa mia debolezza.
Prospero, Atto quarto, scena prima. La tempesta, William Shakespeare, BUR teatro, 1963, Milano