Credevo fosse una storia d’amore. E in fondo Strange but true, il film tratto dall’omonimo romanzo di John Searles pubblicato in Italia da DeA Planeta e diretto da Rowan Athale, è una storia d’amore. L’amore di Melissa (Margaret Qualey, bellissima e adattissima per il ruolo quasi da Vergine Maria con i suoi occhi umidi, le labbra carnose e socchiuse e un’innocenza totalizzante ma per me ancora portatrice di negatività per la sua performance da soprammobile in una delle mie serie preferite, l’HBO Letfovers) per il suo primo amore Ronnie (Connor Jessup) che la porta a non accettare la sua morte e a fare di tutto per tentare di portare avanti quel legame per sempre; l’amore di Philip (Nick Robinson, già icona teen per la sua partecipazione allo strappalacrime Noi siamo tutto di Stella Meghie) per l’idea di un futuro che aveva condiviso con Ronnie e che non riesce a sovrapporre al suo presente, nonostante di diverso ci sia ‘solo’ l’assenza di suo fratello minore; l’amore di Richard (Greg Kinnear, Oscar come miglior attore non protagonista per Qualcosa è cambiato di di James Brooks) per suo figlio Ronnie che lo ha portato a cercare la condivisione di momenti e dettagli della vita di suo figlio per consentirgli di andare avanti altrove; l’amore di Charlene (Amy Ryan, altra candidata all’Oscar come miglior attrice non protagonista in Gone Baby Gone di Ben Affleck) madre quasi congelata dalla scomparsa del ragazzo in un incidente stradale, ormai cinque anni prima. Tutto ruota attorno a Ronnie, alla sua morte. Anche la cosa strana, ma vera, ossia quello che Melissa dice a Philip e Charlene quando si presenta alla loro porta: ‘So che sembra strano visto che Ronnie è morto da cinque anni. Ma sono incinta di lui; ed è vero’.

Temevo il paranormale che i toni freddi dell’ambientazione del racconto facevano presumere. Invece Strange but true (titolo che comunque trovo inadatto e che forse solo la lettura del romanzo mi potrà chiarire del tutto) è una storia d’amore sulla reazione di ognuno alla perdita di qualcuno di importante, sui modi diversi con i quali raccontiamo a noi stessi una favola diversa su quello che eravamo insieme, sulla necessità di dare una motivazione plausibile all’assurdo, sui sensi di colpa per l’accaduto, sul boicottaggio della propria felicità vista come non rispettosa nei confronti di chi non c’è e sulle responsabilità che facciamo ricadere sugli altri per la nostra incapacità di reagire. Strange but true è anche e soprattutto un thriller, con lo spettatore all’inseguimento di sequenze di passato e presenze che giustifichino quanto sta accadendo fino al colpo di scena, davvero ben assestato e imprevedibile. Mi hanno infastidito e distratta – al solito – dettagli gratuiti che non aggiungono niente al racconto – o almeno a quello filmico (tipo il fatto che Bill – Brain Cox – fosse uno sceriffo o che su una certa limousine ci fossero delle pillole di un tipo particolare) ma la storia tiene, fa riflettere sui legami e sulle verità che, giusto o sbagliato che sia, possono essere nascoste da chi ci vuole bene. Perché si tratta di verità troppo terribili che chissà se saremo capaci di sostenere. Quando qualcuno muore non perdiamo solo la persona che amavamo ma anche l’amore e la cura che ricevevamo. Perché ci sia un momento per alcune verità, c’è però bisogno di stringersi per poter compensare.