Se c’eri non puoi dimenticarlo. Il momento in cui è accaduto. Lo scoppio della bomba, l’annuncio della fine della guerra, la caduta delle Torri Gemelle, il notiziario in cui venne resa pubblica la morte di Giovanni Falcone. È accaduto e ha cambiato le cose. Per sempre. Dopo quel momento è esistito solo un prima. E un dopo. Io ricordo perfettamente cosa indossavo, la nitidezza delle piastrelle del pavimento, il calore della mano di mia madre sul mio viso, il silenzio. Ricordo se pioveva o c’era il sole, se ero triste o meno, se ho capito subito o no che sarebbe stato tutto diverso. Sei ancora qui di Scott Speer comincia con il racconto di quel momento lì. Ronnie è piccola, è a scuola, sente qualcosa far vibrare l’aria e segue con le dita la frattura che si crea nel vetro della finestra della sua aula. Poi è luce e sua madre che le dice che non deve guardare.

La perdita è uno dei temi che mi è più cari. Come si affronta l’assenza? Cosa si pensa del dopo? Come si fa? In una delle mie serie preferite, Leftovers della HBO, in un determinato momento di un determinato giorno, un 14 ottobre qualsiasi, buona parte della popolazione mondiale, senza un motivo o un criterio di scelta, scompare. La storia si sviluppa seguendo il senso di inadeguatezza e le risposte di chi resta.
In questo racconto filmico rivolto a un pubblico giovane, Ronnie (Bella Thorne che, nonostante le labbra a canotto, mi risulta molto gradita grazie alla naturalezza fisica dei suoi movimenti – che hanno sempre una direzione chiara nella quale svilupparsi – e delle reazioni sempre misurate al racconto) è un’adolescente che deve fare conto con un’assenza rimarcata continuamente. Dopo quel momento zero, infatti – un’esplosione causata dal fallimento di un esperimento top secret la cui scia ha ucciso tutti quelli che si trovavano nella direzione in cui si è propagata la sua energia – i morti (e non solo quelli uccisi allora) sono riapparsi. I ‘redivivi’ non lasciano più in pace chi li ha amati e perduti. E nemmeno gli altri. Ogni mattina infatti, Ronnie fa colazione con questa sorta di fantasma di suo padre che ripete in loop (o almeno, questo sembrano fare i ‘redivivi’) alcuni gesti per qualche minuto, prima di scomparire nuovamente. Poi va a scuola, passando attraverso la signora ‘rediviva’ che attraversa la strada, incontrando nel suo percorso il ‘redivivo’ che scava una buca nella terra. Vite appartenute chissà a quale tempo e a quale affetto. I ‘redivivi’ sono argomento di lezione per il professor Bittner (Dermot Mulroney, il bellissimo Michael de Il matrimonio del mio migliore amico), figura di riferimento per Ronnie ed è proprio a lui e al misterioso compagno di scuola Kirk (Richard Harman di The 100, l’unico interessato a capire questo fenomeno per un motivo che poi farà chiudere il cerchio narrativo) che la ragazza si rivolge quando le appare in bagno un ‘redivivo’ che sembra volerle fare del male.
Il libro per young adult da cui è stato tratto il film è Break my heart 1000 times di Daniel Waters, ossia ‘spezzami il cuore mille volte’, titolo, a mio parere molto più in linea con il sentimento e l’atmosfera che, poi, il regista Scott Speer rende nella realizzazione filmica del racconto. Anche non essendo convinta della bontà di alcuni spiegoni finali, è proprio l’anima che pervade tutta la storia ad avermela fatto apprezzare. Forse la speranza che ci sia davvero qualcosa nell’amore capace di andare oltre tutto, persino di far forzare un meccanismo impossibile da manomettere per proteggere chi si ama. Forse la speranza che anche questi millennials siano disposti a vagabondare per il mondo alla ricerca di un segno da parte di qualcuno a cui volevano bene.

[Ne uscirà una saga o una serie? Staremo a vedere].