A me Pinocchio ha sempre fatto paura. Nel libro dell’edizione ‘I libri di Gulliver’ (grandissimo e con la copertina rossa con un disegno di Pinocchio con il Gatto e la Volpe sul davanti) che leggevo a mio fratello più grande, seduta sul suo letto la notte prima di andare a dormire, c’erano dei disegni bellissimi ma spaventosi, in cui non ho ritrovato nulla di quanto c’era nel Pinocchio della Disney che ho visto molti anni dopo.

Ero sicura che quello di Antonio Latella sarebbe stato quel Pinocchio lì. Quello dei timori della mia infanzia. Ero sicura che mi avrebbe spaventato con la bambina dai capelli turchini, con la sua morte, e con l’impiccagione di Pinocchio mi avrebbe fatto pensare: ‘Ok: è finita qui’. E invece no.

Trucioli come neve, Pinocchio fastidioso come dovrebbe essere (chissà perché nella mia memoria era solo sciocco e ingenuo e non insopportabile come effettivamente viene descritto da Collodi…) eppure qualcosa mi è mancato.
Seguo Latella da anni, grazie ad amici che hanno recitato nei suoi spettacoli e a causa della botta al cuore che ho avuto quando Romeo e Giulietta abbracciati sul palco hanno iniziato a roteare in uno spettacolo (nel lontano 2001) in cui sembravano tutti bambini e non potevo che piangere; di quel piccolo blocco nella pancia che ho ricercato poi negli anni, quell’attimo in cui il teatro ogni volta mi ricorda quanto sia necessario.

Per questo sono rimasta delusa. Più di quelli che, tra il pubblico – meschini che non siete altro – aspettavano la Disney e la fata turchina con la bacchetta magica.
Antonio Latella è un regista straordinario e gli sono grata per avermi dato conferma di quel mondo oscuro della mia infanzia, quello in cui un racconto fa comprendere a un bambino che c’è qualcosa di profondamente buono o cattivo o confuso. Ma anche buio e spaventoso. In cui si delude e non si può tornare indietro.

Nonostante le grandi capacità degli attori in scena (che in alcuni sprazzi, come sul palco dei burattini, sono fenomenali) ho trovato lo spettacolo eccessivamente lungo. Forse l’obiettivo di Latella era quello di sfinire lo spettatore, non so, per fargli comprendere chi fosse davvero quel pezzo di legno che aspirava a diventare un bambino vero. Forse Pinocchio non crea semplicemente empatia con il pubblico e non si riesce a seguirlo con attenzione lungo tutto il percorso. Forse nell’interpretazione di Christian La Rosa ho visto più fatica e tecnica che altro quella sera. Peccato.

Facciamo tanti pupazzetti di Pinocchio da vendere ai turisti ma non sappiamo chi sia. Sarebbe stata una buona occasione per conoscerlo.
O riconoscerlo, se da bambini in un brutto sogno un gigante verde vi ha pescato in una rete come era successo e lui.