La mia prima lettura di Piccole donne di Louisa May Alcott è stata poco consapevole. Ero molto piccola e davo un po’ per scontato che si potesse e dovesse essere ‘piccole donne’. I miei esempi femminili all’epoca erano tutte donne molto indipendenti e allo stesso tempo protettive. Solo successivamente ho imparato che si può essere un tipo diverso di donna da quella che conoscevo. Il primo film tratto da quel libro che ho visto è stato quello del 1994, con la regia di Gillian Armstrong, con protagoniste le star di ieri e oggi Winona Ryder, Susan Sarandon, Christian Bale, Claire Danes, Kirsten Dunst e Gabriel Byrne. Anche la fruizione della versione cinematografica è stata poco consapevole ma da lì ho iniziato a dividere il mio mondo femminile in tipi: c’erano le assennate alla Meg, le fin troppo altruiste e gentili alla Beth, le vanitose e romantiche alla Amy e le battagliere idealiste alla Jo. Ed io ho sempre parteggiato per Jo.

Adesso sono molto più consapevole e so quanto sia straordinario che Louisa May Alcott abbia scritto nel 1868 un libro del genere, che parla di emancipazione femminile descrivendo una famiglia di donne che riesce in qualche modo a farcela e che prende spunto dalla sua realtà, anche se fu costretta ad assecondare un genere che non amava (fino ad allora era specializzata in thriller dalle atmosfere gotiche ed aveva sovente utilizzato lo pseudonimo maschile A.M. Barnard) per garantire sussistenza a se stessa e ai suoi cari, impegnati tutti – come in parte racconta anche nel libro – nella Guerra di Secessione (a cui partecipò in prima persona come infermiera volontaria) e in quello che questa causò – persino nella ‘ferrovia sotterranea’, la rete di itinerari e nascondigli segreti usata dal movimento di liberazione degli schiavi neri per raggiungere gli stati liberi degli Stati Uniti e il Canada (raccontata in uno splendido e claustrofobico libro di uno dei miei scrittori preferiti, Colson Whitehead, ‘La ferrovia sotterranea’ appunto). Louisa May Alcott scrisse che alle sue sorelle Anna (attrice teatrale che conobbe suo marito John sul palcoscenico su cui recitavano come comprimari), Marmee (che si battè per l’educazione e la scolarizzazione femminile nonostante la pacatezza) e May (artista; una sua natura morta fu l’unica opera di una donna americana esposta nel 1877 nel Salon di Parigi) Piccole donne sarebbe piaciuto.
Erano anche loro donne che combattevano per la parità. Il loro messaggio fu raccolto nel 1933 da uno dei più grandi registi della storia del cinema, George Cukor, in un film con altre icone femminili come Katherine Hepburn (definita come la più grande attrice statunitense di tutti i tempi) e Joan Bennett (coinvolta in uno scandalo ed inserita in una lista nera che non la fece lavorare per anni perché suo marito, ipotizzando una relazione extraconiugale, aveva sparato al suo agente); e poi nel 1949 in un film con Liz Taylor (che si è sposata otto volte e ha avuto sette mariti), June Allyson (che tenne nascosto un incidente che l’aveva quasi paralizzata come se il non avere un’infanzia rosea potesse inficiare la sua carriera) e Janet Leight (in un parziale sconvolgente nudo in Psycho di Hitchcock e mamma di Jamie Lee Curtis, altra attrice impegnata in un’organizzazione no-profit per la riabilitazione delle donne in difficoltà). E pensare che ancora nel 1994, la parità era lontana dato che Armstrong, è stata una delle prime registe australiane.

E, oggi, 151 anni dopo, a che punto siamo? ‘Voglio farmi la mia strada nel mondo’, diceva Jo nel 1868.
E lo ripete, ancora oggi (nei suoi panni Saoirse Ronan) a sua zia March (Meryl Streep) che ancora le risponde: ‘Nessuno si fa strada da solo. Men che meno una donna. Devi trovare un buon partito’. E Jo: ‘Ma tu non sei sposata zia March’, con la zia che conclude: ‘E che c’entra? Io sono ricca’.

Tante cose, grazie a donne come Louisa May Alcott e a libri come Piccole donne, sono cambiate dal 1868. Eppure questo scambio di battute possiamo sentirlo e riconoscerlo, purtroppo, ancora oggi. Greta Gerwig (regista del film Golden Globe come miglior film commedia o musicale Lady bird e quinta donna nella storia ad essere nominata per il premio Oscar alla regia) dirige un cast stellare (oltre alla musa Saoirse Ronan, Emma Watson, Laura Dern, Timothée Chalamet, Florence Pugh) per raccontare ancora una volta di queste piccole grandi donne delle quali, crescendo, ho imparato ad amare aspetti che da bambina non avevo compreso. Oggi so che ognuna di noi può essere, a seconda dei casi, una delle sorelle March. E poi cambiare, di nuovo, senza contraddirsi. Gerwig si concentra anche sul senso che diamo al nostro passato; trasferisce sulla pellicola quel sentimento che è rarissimo veder trasposto al cinema, quel legame particolarissimo che esiste tra i ragazzi, tra i fratelli e gli amici, quella familiarità che può scattare in violenza, quell’amore e quella delusione che porta a desiderare di far stare malissimo l’altro ma anche a fare qualunque cosa purché tutto torni come prima. Quell’affetto senza malizia, l’altruismo e il capriccio mischiati nella stessa persona allo stesso tempo. Racconta una bella età a cui guardare con orgoglio da grandi. Racconta che le femmine possono essere un mondo a cui guardare; hanno passioni e talenti e devono essere messe nelle condizioni di svilupparli; hanno il diritto ad un trattamento equo. Oggi parteggio per tutte le sfumature diverse per ognuna di noi.