Madeline Whittier (la bellissima Amandla Stenberg che aveva indossato i panni di Mae nella saga di Hunger James – è cresciuta abbastanza come potete vedere) è allergica a tutto. Ma tutto tutto.
Vive da diciassette anni, la sua intera vita, in una casa completamente sterilizzata dalla quale non può uscire; si allena, legge, segue un corso di architettura on line, costruisce progetti nei quali posiziona sempre un piccolo modellino di astronauta, guarda fuori da un’enorme vetrata del suo studio ed è iscritta ad alcune chat per poter passare il tempo e avere dei contatti ‘umani’. Le uniche persone che ha toccato da quando è ‘rinchiusa’ sono sua madre, che è anche un medico (la Dottoressa Pauline, Anika Noni Rose), quella che è la sua infermiera personale da quindici anni, Clara (Ana de la Reguera), e la figlia di lei, Ruby (Farryn VanHumbeck).
Ovviamente possono farle visita solo dopo una completa disinfestazione e quando non sono malate.
Maddy ha perso suo fratello e suo padre in un incidente automobilistico quando era bambina. Si è sentita male durante l’ultimo viaggio insieme alle Hawaii e non ha quasi più ricordi di ‘com’era prima’.
Subito dopo l’incidente le è stata diagnosticata l’immunodeficienza che la costringe ad una vita da reclusa. Ma un giorno dalla finestra nota che una nuova famiglia si è trasferita nella casa accanto. Ne fa parte Olly (Nick Robinson), un ragazzo che cambierà tutto.
Ma tutto tutto.
Il racconto per adolescenti da cui è tratto il film è un libro di Nicola Yoon Everything Everything, arrivato al primo posto della classifica del New York Times, pieno di disegni, conversazioni sviluppate attraverso messaggistica istantanea, che utilizza un linguaggio molto giovane ed immediato ed assolutamente riconoscibile da parte del suo pubblico di riferimento. D’altra parte, se prima non c’erano whatsapp e facebook, quale adolescente non ha mai trasferito i suoi pensieri in disegni, citazioni da romanzi, testi di canzoni e tags su bigliettini e diari ultracolorati, spesso condivisi con le amiche?
Chiunque abbia avuto diciassette anni sa di cosa sto parlando.
Il film è ben riuscito a tradurre il mondo onirico di Maddy che si sviluppa in questo modo nel libro. Nella sua ricerca di uno sfogo alla costrizione, Maddy ‘lascia andare’ la fantasia e porta avanti la sua passione per l’architettura attraverso la costruzione di mondi in cui collocare il suo alter ego, il piccolo pupazzetto astronauta, che le permette davvero di andare oltre i limiti costituiti dalle mura di casa.
Ma sarà solo Olly che riuscirà a farla sentire ‘come se fosse fuori’.
Peccato che la modalità di costruzione del racconto sia alquanto banale e scontata perché il finale e la riflessione che c’è dietro la storia d’amore avrebbero meritato di più. Il personaggio di Olly è misterioso, ha un ciuffo ribelle alla James Dean, problemi a casa e si veste solo di nero. Schiere di ragazzine adoranti perdoneranno al suo personaggio qualunque cosa. La recitazione di entrambi i protagonisti non è malvagia ma nel contenitore c’è qualcosa che non va.
La traduzione del titolo Everything Everything in Noi siamo tutto non trasferisce il timore che sta dietro la scelta dell’originale: ‘tutto tutto’ è quello che potrebbe fare del male a Maddy, quello che una madre teme possa colpire sua figlia (Yoon ha scritto il testo quando sua figlia aveva quattro mesi) mentre Noi siamo tutto colloca l’occhio di bue sulla storia d’amore tra i due, banalizzando e rendendo meno interessante il progetto partorito dalla scrittrice. Inoltre, la realizzazione scenica pone lo spettatore nella condizione di muoversi in un ambiente quasi futuristico senza una collocazione nel mondo reale (anche New York e le Hawaii ci risultano semplici cartoline), in un catalogo di architettura di design o di abiti minimalisti a tinte uniche. Comprensibile la scelta di costruzione di uno spazio che ricordasse un’astronave per sovrapporre Maddy alla figura dell’astronauta, ma lo stesso obiettivo poteva essere realizzato in maniera più concreta.
Che noia e che peccato. Si poteva fare molto meglio.