Cuffiette nelle orecchie, cappotto un po’ stretto sulle spalle, coppola a scacchi e orecchie a sventola. Norman sembra sapere tutto di tutti. Ti serve qualcosa? Non preoccuparti: che sia l’ingresso all’Università, un nuovo lavoro, un fidanzato o la felicità, Norman può aiutarti ad averla. E può farlo grazie ai suoi contatti e ai piaceri che amici di amici possono fare ai suoi conoscenti, i quali, un giorno a loro volta, potranno essere utili a qualcun altro. Con cui Norman potrà metterà in contatto.

È un racconto molto crudo quello disegnato da Joseph Cedar (il regista delle nomination agli Oscar 2007 e 2011 come miglior film straniero, rispettivamente per BeaufortHearat Shulayim, che ha vinto la Palma d’oro a Cannes quell’anno). È  un racconto antico che riconduce alla figura dell’ebreo cortigiano che ritroviamo già nella Bibbia. Ma è un racconto anche tremendamente attuale se pensate a quante persone avete visto tentare di entrare agli eventi ‘cool’ e cercare di accumulare contatti da poter usare o rivendere per essere nella cerchia giusta; e acquisire potere, esistenza, sopravvivenza.

Richard Gere interpreta Norman Oppenheimer, un ebreo sessantenne che cerca di fare affari in una New York gelida ‘vendendo’ favori che non può garantire né permettersi. Sta cercando di entrare in contatto con alcuni magnati ebrei (interpretati da Harris Yulin e Josh Charles) per i quali lavora (senza mai entrarci davvero in contatto dal momento che è un piccolo avvocato in un enorme gruppo aziendale) suo nipote Philip (Michael Sheen). Norman è un uomo ostinato, petulante, insopportabile; si muove, quasi esclusivamente attaccato al suo cellulare, cercando di riscaldarsi tra la sinagoga (il cui rabbino è nientemeno che Steve Buscemi) e una caffetteria e viene umiliato continuamente anche dai suoi cari che cercano di tenerlo il più distante possibile. Un giorno, però, riesce ad avvicinare un politico israeliano ancora di poco conto (un certo Micha Eshel interpretato da un Lior Ashkenazi, attore pluripremiato in Israele), scommette su quello che potrebbe essere il suo futuro (come sembra fare sempre, dato che non perde occasione di tentare di legarsi a qualcuno pensando che prima o poi potrà servirgli) e gli dona il paio di scarpe più costose di New York che quello aveva notato in una vetrina. Questo politico (moderna Cenerentola) riuscirà però un giorno a diventare primo ministro del suo Paese e ad occupare una posizione ed uno status per le quali le scarpe donate da Norman saranno adatte. E allora Norman il faccendiere avrà la sua grande occasione.

Una figura del genere dovrebbe infastidire e, in parte, lo fa. Richard Gere è magistrale nella sua interpretazione perché sceglie la giusta misura. Insiste con tutto e tutti, resiste alle intemperie, i disagi e la stanchezza, sfinisce anche le brave persone che incontra facendo emergere il peggio di loro (chi è senza peccato scagli la prima pietra) eppure sorride come un bambino quando le sue bugie vengono scoperte ed è un personaggio assolutamente misterioso, indifeso. E solo. Inoltre lascia allo spettatore la sensazione di fare quello che fa non per un interesse economico ma come per tentare, quasi disperatamente, di continuare a esistere. Da una parte, quindi, si nutre repulsione nei suoi confronti, ma dall’altra anche uno strano senso di pietà, come se dietro ogni suo atto ci fosse una profonda inconsapevolezza e innocenza. Una volontà fortissima di non voler far male a nessuno.

L’incredibile vita di Norman è un film che ci pone di fronte a dei temi importanti. La sua confezione, il titolo e il ricorso ad un attore così famoso come Gere mi avevano fatto poco sperare. Eppure sono uscita dalla visione di questo piccolo capolavoro stupita dalla scelta di Gere di interpretare (in maniera così precisa) un personaggio molto diverso da quelli a cui ci aveva abituati e con l’amara consapevolezza di non sapere abbastanza della cultura ebraica per apprezzare le mille sfumature della lezione fornita da questo racconto. Pochi prodotti mi hanno mosso sentimenti così contrastanti nei confronti di ogni personaggio rappresentato. Pochissimi mi hanno fatto pensare una cosa e il suo esatto opposto quasi nello stesso momento. E molte sono le domande anche su di me e su quanti mi sono intorno. Ci sono molti più Norman di quanto credessi.

Il regista decide di chiudere il film con un canto ebraico che dice: ‘Che Iddio ricompensi coloro che si occupano lealmente dei bisogni della comunità, che possa risparmiar loro la malattia e conservarli in salute, e perdonarli di tutti i loro peccati’. Che Iddio ci perdoni. Tutti noi.