Gesuiti, euclidei, vestiti come dei bonzi per entrare a corte degli imperatori della dinastia del Ming‘ cantava Franco Battiato nel 1981. Quante volte abbiamo cantato questa strofa di ‘Cerco un centro di gravità permanente’ senza avere la più pallida idea di cosa stesse parlando quel compositore pazzesco di Battiato?
Poi un giorno in Cina ho scoperto dell’esistenza di Matteo Ricci, un gesuita maceratese che ha trascorso molti anni in quel Paese non solo per diffondere il Cristianesimo, ma anche studiando e diffondendo la sua conoscenza. Matteo Ricci viene descritto dai cinesi come un uomo alto, con gli occhi azzurri e il naso grande. Gli diedero il titolo di ‘Studioso confuciano del Grande Occidente’. Fece anche grandi strafalcioni come il mettere al centro di una sua mappa l’Europa, offendendo tantissimo i cinesi – anche considerando il fatto che il nome del loro Paese letteralmente si traduce con ‘Terra di mezzo’ – e – come canta Battiato nella sua canzone – si recò in visita all’Imperatore vestito da bonzo (ossia da normale monaco) invece che da mandarino (ossia da luminare ammesso all’interno delle mura della Città Proibita) ma portò in Oriente la geometria euclidea, incuriosì gli imperatori con la sua capacità di costruire orologi e arricchì la scienza occidentale che padroneggiava con maestria di elementi della cultura orientale che imparò a conoscere.

La Shanghai Theatre Academy ha messo in scena Matteo Ricci e Xu Guangqui, un’opera in dodici scene che racconta un po’ di questo mondo qui.
Matteo Ricci viene derubato di un orologio a pendolo che ha portato in Cina come dono all’imperatore. I soldati arrestano i banditi e vogliono condannarli a morte ma Ricci si oppone e viene arrestato con loro. La madre del ladro più giovane si rivolge, quindi, a Xu Guangqui, consigliere dell’imperatore affinché intervenga. Ovviamente le cose si complicheranno ancora.
Vedere uno spettacolo tradizionale cinese in cinese (con i sottotitoli eh) all’interno del Piccolo Teatro Studio Melato  – a pochissimi metri dal quartiere cinese di Milano – è stata un’esperienza molto particolare: lo spettacolo, la sua regia, la presenza di una piccola orchestra che introduceva ogni atto e commentava musicalmente le scene suggerendo allo spettatore il sentimento da provare, gli inserti acrobatici e canori fanno tutti parte della tradizione cinese e, quindi, per chi è a conoscenza di un minimo di convenzione dell’Opera di Pechino non offrono nessuna sorpresa. Il problema è che di queste tradizioni millenarie sappiamo davvero molto poco e anche a me scappava il risolino ad ogni attacco di canzone da parte dell’attrice/soprano.
In ogni caso, sembrava di essere in Cina e faceva specie sentire i vicini di balconata, cinesi, commentare alcune scene con i loro amici in italiano.
Dovremmo essere più curiosi. Dovremmo cercare lo scambio di conoscenza, prendere il meglio dal diverso e arricchire quello che siamo, proprio seguendo l’esempio di Matteo Ricci e Xu Guangqi, due esseri completamente diversi che trovarono le soluzioni a molte problematiche osservando meglio l’altro.
E poi, probabilmente, dovremmo iniziare a capire ogni parola di quello che cantiamo. Soprattutto quando si tratta di suggestioni di un grande come Franco Battiato.