Credo che la sua voce faccia parte della mia vita da sempre. Non so quale delle arie cantate dalla Callas mi sia più cara. Non so se sia stata la sua classe, il suo piglio, il fatto che nella mia famiglia ci fosse un soprano professionista o che lei somigliasse tanto a mia madre a farmene amare così tanto la figura e a considerarla eterna, quasi senza ‘sostanza’, nonostante la sua forza avrebbe dovuto farmene sentire la consistenza e il peso. Le cose che so di Maria Callas mi sono arrivate dal mondo in cui vivo. Non ho mai indagato né cercato informazioni. Il documentario di Tom Volf ha ricucito i pezzi di nozioni arrivatemi come una sorta di racconto popolare, collegato come un patchwork di cui non riconosco l’inizio. Non ho idea di quanto materiale abbia raccolto Volf sulla cantante, attrice, sul mito Maria Callas, ma il documentario che ne dovrebbe essere la sintesi dura due ore. Volf, 31enne francese di formazione americana, ha girato per tre anni nella ricerca di un personaggio a lui, all’epoca, quasi sconosciuto. Io che di anni ne ho cinque in più, non so come avrei fatto a crescere senza conoscere quella voce. Quello che ha composto Volf sono sequenze di fotografie della cantante da bambina con la sua famiglia, a New York e poi, allo scoppio della Guerra, in Grecia; estratti di lettere che la Callas ha scritto alla sua insegnante di canto dei tempi degli studi al conservatorio di Atene – quando lei e i suoi 13 anni si erano spacciati per una 17enne per poter studiare lì. C’è anche un’intervista a quella docente, la spagnola Elvira De Hidalgo, fatta da una tv francese e una lettera d’amore per Onassis scritta poco prima del matrimonio di questi con Jacqueline Kennedy ed interviste da parte delle televisioni americane, italiane e francesi. E poi registrazioni in super 8 fatte dai suoi fan (mosse, sfocate, sgranate), riprese di vari momenti di relax durante e dopo le prove del film Medea di Pier Paolo Pasolini, di cui fu attrice protagonista; immagini con il regista romano, suo grande amico, e riprese di giornalisti che l’attendono in aeroporto o all’uscita di un albergo o di uno studio legale o di un teatro. Tutto è a colori, anche il materiale che in originale non lo era. Maria Kalogeropoulos (così si chiamava la Callas prima che suo padre cambiasse il nome della famiglia) si presenta come separata: parla dell’artista, la Callas appunto, ma anche di Maria. Mi ferisce la sua lucidità nell’analizzare se stessa e la propria vita. Mi infastidisce quasi arrivarle così vicino, essere quasi testimone dei problemi della sua voce e del suo abbandono per cercare di fare emergere di più quella parte schiacciata, Maria: la ‘bambina per poco’ – per accontentare il desiderio materno di farla diventare una stella; la donna che aveva messo la carriera prima di tutto, come voleva suo marito, l’affarista veneto Giovanni Battista Meneghini, che non aveva voluto darle dei figli per non farle interrompere la sua ascesa. Mi imbarazza vederla sofferente, avvicinarsi ad Onassis e sorprendersi un’altra. Vorrei quasi chiudere gli occhi per rispetto. Ma non riesco a farlo e continuo ad osservare i volti delle persone che le erano accanto, sento i nomi dei destinatari delle sue lettere e ho nostalgia di un mondo che non ho mai nemmeno vissuto, di storie tragiche, tutte intrecciate le une alle altre, come può solo accadere in una sceneggiatura che abbia a che fare con la realtà, altrimenti risulterebbe poco credibile. Pasolini, Grace Kelly, Jacqueline Kennedy. Sono tutti lì. Miti in se stessi e nella creazione di un’epoca. Sono passati 40 anni dalla morte di Maria Callas, 35 anni da quella di Grace Kelly, 43 anni da quella di Pasolini. Ancora parliamo di loro perché hanno lasciato il segno. E se non sapete di cosa sto parlando andatevi a vedere un film con Grace Kelly come protagonista o Pasolini come regista o leggete un libro, una poesia o qualcosa di quel che hanno fatto e che li ha resi immortali. Ascoltate Lucia di Lammermoor cantata da Maria Callas, come ha fatto il regista di questo documentario e capirete perché – credo per giustificare l’emozione che ha scatenato in lui e in qualunque essere umano con orecchie funzionanti – quel ragazzo di venticinque anni all’epoca, si è messo a cercare per tre anni girando per il mondo tracce di lei, la Divina Maria Callas.