‘Don’t worry. You’ll make it through. And you’ll have quite the ride on the way’ che suona come ‘Non ti preoccupare. Ce la farai. E avrai dalla tua una storia da raccontare’. Una storia, una di quelle storie che quando sono raccontate e vissute in un certo modo, diventano capolavoro. Questa ha dalla sua parte un ragazzo di nome David Copperfield, un nome che avete già sentito, che avete letto sulla copertina di uno dei libri che vi hanno obbligato a leggere quando eravate bambini e che, se non avete amato allora, dovete assolutamente rileggere. Perché Charles Dickens sa come raccontare una storia (ho da pochissimo riletto Casa desolata e l’ho trovato un capolavoro assoluto). La storia è quella di David, che nasce in un paesino in Inghilterra da una madre che lo ama e una madrina che lo abbandona perché avrebbe preferito una nipote femmina, cresce felice finché sua madre non si risposa (spoiler spoiler), viene allontanato da casa dal suo padrino e costretto a lavorare in una fabbrica di bottiglie a Londra e, mentre gli succede di tutto, insegue il suo sogno di diventare scrittore. Armando Iannucci, alla regia e sceneggiatura, mi stupisce ancora di più di quanto non abbia già fatto con Morto Stalin, se ne fa un altro – finalmente un titolo migliore dell’originale The Death of Stalin – tra i dieci migliori film indipendenti del National Board of Review del 2018 e miglior commedia europea per il European Film Awards. La vita straordinaria di David Copperfield è un film la cui potenza è percepibile sia dall’inizio con un punto di vista che mescola il racconto del suo narratore con quello che viene raccontato in modo rapido e non banale (David entra negli stessi suoi ricordi che sta raccontando dal palco dell’ottocentesco Teatro Reale di Bury St. Edmunds nella contea del Suffolk), con un meccanismo comprensibile eppur rapidissimo, supportato dalla maestosa colonna sonora di Christopher Willis (fenomeno a cui Iannucci è affezionato ma che aveva già composto, tra altre, la colonna sonora di Breaking Dawn – parte seconda della saga di Twilight e di X-Men – L’inizio); David Copperfield è un film ironico che enfatizza la grandezza della scrittura di Charles Dickens [molto meglio sottolineare la ‘personalizzazione’ della storia del titolo originale, The personal history of David Copperfield, che ne evidenzia la parzialità del ricordo e che, comunque, non risponde neanche questo in toto alle tante declinazioni dell’originale di Dickens, The Personal History, Adventures, Experience and Observation of David Copperfield the Younger of Blunderstone Rookery (Which He Never Meant to Be Published on Any Account) ma rende continuamente – e anche in modo deliziosamente ridondante – valore alla forma grafica, scritta, alla parola singola, a quella parlata, ai suoi vari significati], facendo riflettere e ridere, grazie alla caratterizzazione di personaggi mai monodimensionali dovuta a un cast con una capacità attoriale altissima (Dev Patel, Tilda Swinton, Peter Capaldi, Ben Wishaw, Benedict Wong, Gwendoline Christie); poetico (ma quanto è meraviglioso il personaggio di Mr. Dick, a cui presta i panni Hugh Laurie? E vogliamo parlare di tutta la parte relativa a Yarmouth e la casa/barca?); colorato (incredibile il lavoro della production designer Cristina Casali e della set decorator Charlotte Dirickx, che hanno anticipato il periodo del romanzo – 1850 – a quello georgiano – fino al 1830 – per rendere il tono voluto dal regista, usando toni quasi psichedelici – dagli spunti del Victoria and Albert Museum di Londra – assecondati dai costumi della designer Suzy Harman), che sa di umanità perché mescola razze e figure come raramente si vede fare nei prodotti cinematografici, in un racconto di determinazione, giustizia, contraddizioni, sfruttamento, ossessione, amicizia, tradimento, crescita, in cui David e il suo mondo sembrano una favola scura come quella di Pinocchio di Collodi, in cui ci si aspetta un lieto fine che conserva un retrogusto agrodolce. Ma fa comunque venire voglia di tendere la mano ad un altro, anche se si è consapevoli di venire un po’ sfruttati, di dare un’altra occasione a chi ci ha respinto. Di cercare di essere migliori di noi stessi, di fare un po’ di più e provare a cambiare quello che sembra impossibile cambiare e che ci sembra triste e ingiusto. E di scrivere, e dipingere, e far volare le nostre paure e ossessioni, per liberare la nostra testa e il peso che abbiamo sul cuore, prestandolo, anche solo per un’ora, anche solo per tornare noi stessi, ad un aquilone.
Stupendo.
Qui trovate la colonna sonora: https://www.youtube.com/watch?v=U46m2TeBeBQ&list=PLiY_W2suSMoL5lB8bbli_vUuVZmaSEMkj&index=1