Alcuni film restano nella memoria come fossero acquerelli, strisce di colore diluito, materia che oltrepassa la pelle e arriva al cuore. Alcuni dettagli sono più netti, più carichi di colore e di spessore, come la consistenza di un orecchino perso alla stessa stregua della scarpina di Cenerentola (mi sembra di averlo fatto rigirare tra le mie dita), la conchiglia di un copricapo molto particolare scelto per una cerimonia, il tempo su un pacco di lettere nascoste da una cattiva persona. Questa è la storia invisibile di Eurídice Gusmão. È la storia invisibile di Guida Gusmão. È la storia di una, due, 5 miliardi di donne. In Brasile, ma non solo. Eurídice (Carol Duarte nella giovinezza e Fernanda Montenegro – ebbene sì, la più grande attrice brasiliana della storia, unica del suo Paese ad essere candidata all’Oscar per Central do Brasil di Walter Salles) ha 18 anni, Guida (Julia Stockler) 20. Sono sorelle nella Rio De Janeiro degli anni ’60. Vivono con un padre che sembra amarle finché non esprimono una propria autonomia e finge sostegno ai loro sogni finché non intralciano con i suoi piani. Così quando Guida torna incinta dopo una fuga d’amore con un marinaio greco, suo padre la caccia di casa e cerca di tenerla lontana da Eurídice che, nel frattempo, ha costretto a sposare il figlio di un amico. Perché? Perché può farlo, credo. Forse perché teme ‘la vergogna sulla famiglia’. Forse perché è stato ferito. Ma basta? Alla prima dice che la sorella ha seguito il suo sogno e sta frequentando una famosa scuola di pianoforte a Vienna e alla seconda nasconde il ritorno di Guida. Così Guida si trova da sola, ormai prossima al parto, in una città in cui è sempre stata figlia e sorella, con il pensiero in un Paese di cui ipotizza solo la musica. Ed Eurídice, come il mito greco di cui prende il nome, resta imbrigliata come in una sorta di aldilà, priva del sostegno che le ricordava il valore del suo desiderio, come morsa da un serpente di cui non ha nemmeno visto l’arrivo mentre aspettava sulla soglia di casa, invano, il rientro di Guida da una notte folle, una serata che poteva essere come tante, come quelle che si sono sempre concesse i ragazzi di ogni tempo e paese. Quelle in cui non si è fatto niente di male finché qualcuno non si è dimenticato ed è diventato un adulto pronto a puntare il dito.

La storia invisibile di Eurídice Gusmão è una storia fierissima di sottomissione e ribellione, piena di profili femminili taglienti e bellissimi, di scelte, cadute e risalite. Il regista Karin Aïnouz segue la pagina scritta dalla scrittrice Martha Batalha e porta a casa il premio Un certain regard al Festival di Cannes di quest’anno, grazie ad interpreti straordinarie che mette nella condizione di portare a casa un lavoro eccezionale, privilegiando la crescita dei personaggi e uno sviluppo naturale a dinamiche economiche, riprendendo le sequenze in ordine temporale, senza accorpamenti da piani di produzione ed economie di scala. Il risultato è un ritratto della sorellanza e dell’amore nonostante tutto, per sempre, del riconoscimento tra donne apparentemente molto diverse, del calore che può darti un estraneo tanto da diventare più che di famiglia, del tradimento di qualcuno che, invece, ha contribuito con l’indifferenza a scagliarti nel fosso, del fottuto giudizio che muoviamo nei confronti degli altri, della donna, fragilissima e bellissima. Di quanto all’epoca e in un paese arretrato come pensiamo fosse il Brasile, alcune donne abbiano avuto più coraggio e più forza di molte di noi, oggi, in un Paese che consideriamo civile come l’Italia; di quanto abbiamo fatto e di quanto ancora abbiamo da fare. Per non essere invisibili. Mai più.