Country roads, take me home, to the place I belong; West Virginia, mountain mamma; take me home country roads. Strade di campagna, riportatemi a casa, al posto a cui appartengo; il West Virginia, la montagna madre. Riportatemi a casa, strade di campagna.
Steven Soderbergh inizia così Logan Lucky (titolo che ha molto più da dire della versione italiana La truffa dei Logan). Si posiziona immediatamente in un luogo ed è quasi istantaneo per lo spettatore legare al territorio caratteri, costumi e modi, anche seguendo dei cliché. Soderbergh non tradisce nessuna aspettativa: compaiono quasi subito le auto di grossa cilindrata, le strade polverose, le miniere, le camicie a quadri portate sopra le canottiere, i cappellini da baseball, l’aggressività e il modo rapido di risolvere le cose quando toccano la dignità e le ‘cose di casa’.
Rebecca Blunt è un’amica di Jules Asner, la moglie di Steven Soderbergh. Le era venuto in mente di scrivere una storia su un furto spettacolare quando aveva sentito che la Charlotte Motor Speedway, uno dei più famosi circuiti per corse di auto come la Nascar (tanto per capirci, le stesse gare di cui è protagonista Saetta McQueen di Cars della Disney) aveva assunto dei minatori disoccupati per sistemare delle doline (per chi come me dovrebbe googlelarlo, si tratta di cavità che si formano sottoterra per vari motivi) formatesi sotto il circuito inaugurato nel ’59 (era stato costruito su una discarica…) e aveva letto che lo smistamento del denaro in tutto ciò che è legato al circuito è quello del ‘drive throught’, ossia un sistema di tubi nei quali le cose circolano grazie alla pressione dell’aria, permettendo alle persone di spostare le cose senza muoversi. Questo tipo di servizio viene utilizzato negli States a partire dagli anni ’30. Rebecca Blunt ricordava che sua madre accostava l’auto al ‘tubo’ della banca e riusciva a fare dei depositi senza muoversi dalla sua auto. Poco importa allora che Charlotte sia in Nord Carolina e non in West Virginia. Tutto, comunque, parte da quel territorio in cui la sceneggiatrice è cresciuta.
Channing Tatum veste i panni di Jimmy, ex promessa del football (ha perso un futuro da atleta per un ginocchio rotto che non si è più ripreso; Blunt ha scritto il personaggio pensando a Tatum e sapendo che l’attore ebbe un problema simile che lo portò a perdere la borsa di studio per il football e a fare lo spogliarellista), ex marito, ex minatore. Jimmy non ha però perso il bellissimo rapporto con sua figlia di nove anni, Sadie (la piccola Farrah Mckenzie, famosissima in patria per aver interpretato la piccola Dolly Parton, famosissima cantante country, in una collection di tv movie) di cui cerca di prendersi cura comunque, anche se la sua ex moglie Bobbie Joe (Katie Holmes) si è risposata con un uomo, Moody (David Denman), che può offrirle la vita agiata e serena che lui avrebbe voluto garantirle e che non ha potuto darle. Purtroppo, in questo momento la vita che Moody potrebbe offrirle è a Lynchburg, una cittadina del centro del West Virginia; questo trasferimento renderebbe molto difficile per Billy vedere Sadie come è abituato a fare ora. Sarà anche questa una manifestazione dell’ormai nota (almeno secondo il fratello Jimmy, Clyde, interpretato da Adam Driver) maledizione dei Logan a cui si riferisce il titolo inglese del film? Clyde è un veterano di guerra che ha perso una mano in Iraq ed ora gestisce un bar (un fratello senza una gamba funzionante e un altro senza una mano…) ed è convinto che tutta la sfortuna dei fratelli sia dovuta alla maledizione dei Logan, nonostante Mellie (la bellissima nipote di Elvis Priesley, Riley Keough), loro sorella, in realtà se la passi abbastanza bene – anche se non può permettersi un’automobile che meriterebbero la sua capacità di guida e passione per i motori. È il rischio di perdere un affetto che li spinge, inesperti come sono, alla progettazione della rapina. Jimmy, con quei soldi, potrebbe assumere un buon avvocato. Per fare qualcosa per cui non hanno esperienza (non essendo banditi) però, hanno bisogno di qualcuno che sa cosa fare ed è per questo che i tre fratelli contattano Joe Bang (un autoironico, biondo platino Daniel Craig) e riescono a coinvolgerlo nella progettazione della rapina nonostante sia in galera. Joe, però, è anche lui un uomo del West Virginia e un uomo del West Virginia non si muove senza famiglia. Al gruppo, si aggiungono quindi anche i fratelli Bang (Brain Gleeson e Jack Quaid). E sarà sulle loro tracce che finirà l’agente dell’FBI Sarah Grayson (Hilary Swank) che pensa che tutti in questa storia (ma tutti tutti, anche quelli come lei) siano un po’ stupidi.

Le intenzioni di Blunt erano di avere dei consigli da Steven Soderbergh che, in trent’anni di cinema, di rapine ne ha girate un bel po’ già solo con la saga di Ocean’s. Invece, Soderbergh, che si era preso una pausa dal cinema, si è poi  appassionato a questa storia di criminali che devono imparare come si diventa ladri – simile cioè a qualcosa che aveva già raccontato (esplicitato nel film il riferirsi a Ocean’s Eleven) ma anche diverso – e ha deciso di sedersi di nuovo alla sedia della regia cinematografica. La truffa dei Logan è un film pieno d’adrenalina e di buoni sentimenti, in cui è chiaro anche il divertimento del cast incredibile che si è raccolto attorno al regista, in questa sua prima opera indie, distribuita negli States dalla sua piccola società, la Fingerprint Releasing, anche grazie alla presenza delle grandi stelle di Hollywood che hanno partecipato a un progetto che è costato un terzo rispetto ad Ocean’s Eleven. A me piace pensare che Soderbergh abbia voluto raccontare, da bravo uomo del sud, una storia in cui farci riconoscere, in modo divertito, in quegli spazi un po’ squallidi della provincia che racconta, in quella furbizia e capacità di adattamento della gente comune (un esempio su tutti è la bomba costruita da Joe Bang) quello strano legame con la nostra terra di origine che ci fa sempre preferire, perfino a Rihanna, la canzone che, invece, parla, anche in modo troppo sdolcinato e sentimentale, di casa; di noi.