Con la mia vitiligine sul volto, i piedi e le ginocchia, sono un mostro anche io. Ho fatto voltare più di una persona e accettato mille indici da quando la malattia mi ha colpita. Mi ha accompagnata in momenti brutti e bellissimi. Ho migliaia di ricordi in cui la mia testa è riuscita a cancellarla. In molti altri ha fallito. Ora che la vitiligine ha smesso – quasi sempre – di essere legata al mio stato d’animo (prima cresceva con ogni dolore, poi sono andata oltre il mio limite e forse l’ho sublimata), riesco anche a portarla meglio con me. Anche se sto all’erta, come David Banner con Hulk, perché so che potrebbe tornare. Quando Guillermo Del Toro ha ritirato il Golden Globe per la miglior regia per La forma dell’acqua e ha iniziato il suo discorso di ringraziamento, ho iniziato a piangere a goccioloni. Non riuscivo a fermarmi. Il riconoscimento è stato totale, anche se Del Toro non è un mostro come me. Ma ai mostri, a quelli a cui sento di somigliare e che difenderò fino alla fine – della loro storia, della mia storia, di ogni film – lui si affida perché sa che possono salvarci e assolverci; sa che contengono la nostra scintillante imperfezione, che sono l’unica dimostrazione del poter fallire. E del poter vivere (come dice appunto il regista).
Per La forma dell’acqua Del Toro ha costruito prima il mostro e poi tutto il mondo attorno a lui. Con questa storia ci riporta al 1962, a Baltimora. Ci mostra Elisa (straordinaria Sally Hawkins), una ragazza che vive in un appartamento umidissimo, che sembra quasi sott’acqua, in cui tutto è celeste e ciano, che si trova sopra un cinema poco frequentato (che è, invece, rosso come l’amore) su un piano in cui, oltre lei, c’è Giles (Richard Jenkins), un disegnatore in crisi lavorativa perché nel mondo pubblicitario in cui lavora sta iniziando a spopolare la fotografia (il suo appartamento e quello dell’unica altra amica di Elisa, Zelda – Octavia Spencer – sono ambrati o gialli) e anche perché il tempo passa e lui non si è deciso a fare prima di questa presa di consapevolezza alcuni passi. Elisa è muta, anche se si muove come dentro un musical e ci si aspetta sempre che prima o poi qualcuno inizi a ballare (cosa che accade, peraltro). Lavora come addetta alle pulizie, insieme a Zelda, in un laboratorio del Governo degli Stati Uniti dove si effettuano degli strani e segretissimi esperimenti per ottenere la vittoria nella guerra contro la Russia. La sua è una routine perfetta, in cui ogni ticchettio, uovo bollito, strappo di calendario, masturbazione, ha un posto specifico all’interno delle 24 ore. I colori sono netti e separano gli ambienti e i personaggi. I vestiti sono di un solo tono cromatico, i suoni e i rumori puntuali. Elisa è muta, abbiamo detto. Ma nonostante questo, ha una vita decente, dei buoni amici e sembra molto serena.
Una sera, però, Elisa si avvicina più del dovuto ad una strana ‘cosa’ su cui stanno effettuando degli esperimenti. Il riconoscimento nell’altro, le sarà fatale. Dirà, con le sue mani: ‘Quando mi guarda, il modo in cui mi guarda…Lui non sa che mi manca qualcosa… non sa – che sono incompleta. Lui mi vede, così come sono…Ed è felice – di vedermi. Ogni volta. Ogni giorno. Adesso, io ho la possibilità di salvarlo…o di lasciarlo morire.’
I rimandi all’immaginario degli incontri, dell’innamoramento tra mondi all’apparenza diversissimi sono quasi infiniti, a partire da Amore e PsicheLa Bella e la Bestia e Splash – Una sirena a Manhattan.
Dal punto di vista stilistico e metaforico, Del Toro spiega che il colore verde è usato per rappresentare un futuro negativo, inospitale, senza romanticismo (il laboratorio, le macchine e la torta di gelatina). Elisa e la misteriosa creatura portata al centro dal colonnello Strickland (l’inquietantissimo Michael Shannon) sono entrambe figure segnate dal passato: la creatura perché era considerata un Dio dai selvaggi dell’Amazzonia e di lei non si conosce il tempo, Elisa perché vintage come i suoi amati classici cinematografici, graffiata da qualcosa che in un momento che non ricorda le ha tolto per sempre la possibilità di parlare. Ma anche gli altri personaggi sono segnati: Giles dal tempo che non ha colto, il dottor Bob da quello speso con sacrificio a diventare la persona e il professionista che è, Zelda dal tempo della lamentazione e della cura di Elisa, Strickland dal tempo che gli resta prima di marcire.
I ‘buoni’ della storia sono anche degli esseri che possono essere considerati – che sono stati valutati in quel momento storico ma che, probabilmente, lo sono anche adesso – mostruosi: un’handicappata, un omosessuale, una ‘negra’, un russo (che durante la Guerra Fredda rappresenta il male). L’unione del massimo sforzo di tutti questi piccoli esseri umani (e il loro andare oltre le proprie paure e il proprio limite) farà in modo che Elisa tenti la sua impresa. I più derelitti sulla carta (le donne delle pulizie, i disoccupati e le spie) si ritrovano davanti la scelta; e sono solo loro ad essere quelli capaci di riconoscere gli dei.

In più, Elisa s’innamora e Sally Hawkins diventa bellissima. Ed io non posso fare altro che tifare per lei.
La mostruosità ci rivela anche l’amore.