«Dedico questo libro in segno di gratitudine ai miei figli. Mia madre e mia moglie mi hanno insegnato a essere uomo.
I miei figli mi hanno insegnato a essere libero.
NAOMI RACHEL KING, a quattordici anni; JOSEPH HILLSTROM KING, a dodici anni; OWEN PHILIP KING, a sette anni.
Ragazzi, il romanzesco è la verità dentro la bugia, e la verità di questo romanzo è semplice: la magia esiste
Questa è la dedica che Stephen King scrive per It nel 1986, anno in cui questa storia viene pubblicata per la prima volta negli Stati Uniti.
I guai per me iniziano quando, anche in Italia, esce la miniserie in due puntate tratta dal libro, nel 1990. All’epoca era necessario nascondere ai genitori la volontà di vedere un prodotto del genere, assolutamente sconsigliato alla visione dei minori, quindi (come accaduto anche con altri grandi perle come Twin Peaks e L’armata delle tenebre o gli appuntamenti con il ciclo di Italia 1 di Zio Tibia) la stessa organizzazione per la fruizione della serie o del film era in sé una prova di coraggio.
Vedere It: Capitolo Uno con la regia di Andrés Muschietti per me è stato un po’ come tornare all’epoca in cui avevo le trecce e le ginocchia perennemente sbucciate per il pattinaggio, quando la visione di It aveva creato paure ma anche il pensiero che l’avere un fratello maggiore mi avrebbe sempre dato una marcia in più e quella sensazione – lasciata alla mia generazione anche da altri film di avventura (perché It non è un semplice horror) – che i bambini spesso vedono cose che gli adulti non riescono e non vogliono vedere e spesso solo grazie ad essi i tesori possono essere ritrovati e i mostri possono essere sconfitti. Perché a volte solo i più piccoli hanno la forza di andare oltre di sé, soprattutto quando non sono soli, e il coraggio di condividere con gli altri la loro visione e le loro paure (una generosità che la generazione adulta sembra aver perso), elementi che riavvicinano, secondo me, prodotti molto come I Goonies, E.T. l’extraterrestre, Stand by me, Papà ho trovato un amico (il titolo originale è My girl) usciti in quegli anni. Quella sensazione che mi è sembrato cavalcasse anche Stranger Things, la serie di Netflix, dove l’unico adulto che sembra vedere le cose è per lunga parte del racconto considerato pazzo da tutti (Joyce Byders, la madre di Will, interpretata da Winona Rider).

A Derry, cittadina tranquilla del Maine, dove le case hanno steccati dipinti di fresco e i bambini possono andare in giro indisturbati in bicicletta, in un giorno di pioggia, Bill (Jaeden Lieberher) regala una barchetta di carta a suo fratello minore Georgie (Jackson Robert Scott) per farlo giocare ad inseguirla nell’acqua piovana raccoltasi nella strada in discesa. Il bambino non torna più a casa e viene dato come disperso ma lo spettatore lo vede intrattenersi con un clown, Pennywise (nei suoi panni un irriconoscibile e raccapricciante – io non sopporto la vista della bava che cade dalla sua bocca – Bill Skarsgård, tra i protagonisti della serie Hemlock Grove) che sembra vivere nella fogna, gli strappa prima un braccio a morsi e poi lo tira a sé nel sottosuolo.
L’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze estive, al Club dei Perdenti di cui fa parte Bill – che è balbuziente – con lo sboccacciatissimo Richie Tozier (interpretato da uno dei protagonisti di Stanger Things di Netflix, Finn Wolfhard), l’ipocondriaco (anche per colpa di una oscena figura materna) Eddie Kaspbrak (Jack Dylan Grazer, l’Alex ragazzino della serie comedy della CBS Me, myself & I) e l’ebreo Stan Uris (Wyatt Oleff) – si aggiungeranno altri ragazzini, come loro emarginati e vittime di bullismo soprattutto da parte della banda di Henry Bowers (Nicholas Hamilton): Mike Hanlon, nero e orfano (Chosen Jacobs), Beverly “Bev” Marsh (Sophia Lillis), definita da tutta la scuola una sgualdrina, e Ben” Hanscom, sovrappeso e secchione (Jeremy Ray).
Sono loro gli unici che continueranno a supportare Bill nella ricerca di suo fratello e di un perché alle misteriose sparizioni che si verificano nel paesino ogni ventisette anni e che metteranno in gioco le loro paure e la loro amicizia per sconfiggere il mostro.
Il film del 2017 è molto più fedele al libro scritto da Stephen King e, quindi, più splatter e ricco di riferimenti sessuali della miniserie del 1990 (anche se alcuni elementi, soprattutto riferiti al sesso, scompaiono anche da questa edizione della storia).
La fedeltà al testo da cui è tratta la storia, considerato quasi sacro nella letteratura di genere, appesantisce un po’ il tempo del racconto filmico. Io non ho sofferto molto perché la mia mente faceva confronti e interrogava la spettatrice undicenne che era stata terrorizzata dal racconto, ma una persona ‘vergine’ di fronte a It potrebbe lamentarsi del tempo dedicato alla descrizione di ogni personaggio. Va sottolineato l’ottimo lavoro fatto nei casting, la capacità attoriale dei giovanissimi interpreti e la direzione registica che ne accompagna la performance. Non era facile confrontarsi con un prodotto divenuto un mito di una generazione.
Come allora, ma in maniera ancor più prepotente, il mondo sembra essere nelle mani di un gruppo di ragazzini, peraltro ‘Perdenti’. Lo spazio degli adulti è quello dell’ipocondria, dell’egoismo, della violenza, dell’abuso di potere, dell’indifferenza, tutti elementi che portano ad un accrescimento del potere della bestia che è in ogni società.

Anche in questo caso, se si vuole vincere la peggiore delle proprie paure, la si deve affrontare di petto.
Ci vediamo al prossimo capitolo.

Grazie a Enrico per essere venuto con me.

IT

Quando ero bambina mi immedesimavo nei bambini. E adesso che sono adulta, continuo ad immedesimarmi nei bambini. La mia crisi generazionale condivisa con il mio amico Enrico de Cais all'anteprima di IT Il Film Warner Bros. Pictures New Line Cinema Andrés Muschietti Bill Skarsgård Stephen King Jaeden Lieberher Wyatt Oleff Jeremy Ray Taylor Sophia Lillis Finn Wolfhard Jack Dylan Grazer Chosen Jacobs Jackson Robert Scott Nicholas Hamilton Actor

Geplaatst door Uanema op zaterdag 28 oktober 2017