Elisa (Sally Hawkins), protagonista muta del film premio Oscar 2018 La Forma dell’acqua di Guillermo del Toro, vive in un appartamento sopra un cinematografo e passa gran parte del tempo guardando film romantici nella sala buia o sognando ad occhi aperti davanti la piccola televisione di Giles (Richard Jenkins), suo vicino di casa e amico con cui condivide musical, dolci ed emarginazione.
Quanti sono quelli di voi che, come lei, per staccarsi da sé o per immergersene completamente cercano e trovano rifugio in una sala cinematografica? Il cinema è uno dei luoghi per eccellenza in cui sfuggire dal quotidiano ed è allo stesso tempo un incubatrice di sogni e di mondi fantastici.
Il regista Guillermo Del Toro ritirando il Golden Globe per questo film ha affermato di essere stato salvato dai mostri di cui è zeppa tutta la sua filmografia e di essere convinto che questi mostri possano sostenere la nostra imperfezione e, in questo modo, salvarci la vita. Il suo discorso è divenuto una mano tesa, il suo mondo immaginifico una possibilità di riscatto per tutti quelli che anche solo per un secondo della loro vita si sono sentiti mostruosi.
Il protagonista de La torre nera di Stephen King (il primo capitolo è stato trasposto in un film di Nikolaj Arcel deludente per gli amanti della saga di romanzi) afferma che per conoscere un mondo non c’è modo migliore che sapere cosa vi si sogna. Partendo dalla spiegazione che Del Toro ha dato della sua cinematografia, vi invito ad entrare allora in qualcuno degli innumerevoli rifugi immaginari che ci ha narrato il cinema, per vedere se riuscite a riconoscervi in essi o a scoprire qualcosa di nuovo di quel mondo pazzesco che è il vostro io.

Partiamo dall’incontro con Guido Anselmi (Marcello Mastroianni), un regista cinematografico che, per tentare di superare le difficoltà dell’elaborazione del suo prossimo film, si prende un periodo di riposo in una stazione termale. Ma qui, invece di trovare riposo e ispirazione, inizia a confondere la realtà con la fantasia, in un delirio favoloso e ossessivo che si realizza in uno dei capolavori della storia cinema, 8 e ½, che valse a Federico Fellini il premio Oscar come miglior film (il suo terzo) e che consacrò star come Sandra Milo, Anouk Aimée e Claudia Cardinale in una narrazione quasi autobiografica di un momento di crisi di Fellini. Il regista avrebbe voluto filmare l’immaginazione di un uomo, senza sapere bene come e, trasferendo sulla pellicola questa difficoltà, riuscì a realizzare un titolo imperdibile per chiunque possa dirsi amante della settima arte.

Altro personaggio cinematografico alle prese con un mondo fantastico molto ricco è quello di Amélie, la cameriera di un caffè di Montemartre, la cui infanzia viene così raccontata dalla voce narrante de Il favoloso mondo di Amélie di Jean Pierre Jeunet: ‘Senza contatto con gli altri bambini, sballottata dallo stato febbrile di sua madre e lo stato glaciale di suo padre, Amélie si rifugia in un mondo da lei inventato. […] Il mondo esterno appare così morto che preferisce sognare una sua vita in attesa di avere l’età per andarsene’. Da rivedere canticchiando la bellissima colonna sonora di Yann Tiersen.

L’immaginazione, invece, è una reale possibilità di salvezza che un padre concede a suo figlio ne La vita è bella di Roberto Benigni (un altro film che ha fatto incetta di premi) in cui Guido, un uomo italiano di origine ebrea, affronta la guerra e la vita in un lager raccontandola al piccolo Giosuè, di sei anni, come fosse un gioco, in una pellicola ispirata dai racconti di eventi vissuti dallo scrittore Rubino Romeo Salomì, raccolti poi nel libro Ho sconfitto Hitler.

Il sogno diventa corteggiamento in L’arte del sogno di Michel Gondry (il regista di Se mi lasci ti cancello e Be kind Rewind – Gli acchiappafilm) in cui Stéphane (Gael Garcìa Bernal) consapevole della sua difficoltà nel distinguere il sogno dalla realtà che lo porta ad essere allontanato dagli altri, per conquistare la vicina di casa Stéphanie (Charlotte Gainsburg) di cui si è follemente innamorato, pensa di tentare proprio di condurla all’interno del suo mondo fantastico.

La fantasia è anche viaggio ne I sogni segreti di Walter Mitty in cui Walter (Ben Stiller) è un impiegato dell’archivio della rivista Life dalla vita molto noiosa che si concede però  imprese eroiche in viaggi avventurosi senza muovere un passo, semplicemente lasciando correre la sua fantasia dietro le tante fotografie con cui lavora ogni giorno, accompagnandole con il sogno di una storia d’amore con la sua collega Cheryl (Kristen Wiig) con cui non ha nemmeno il coraggio di scambiare una parola.

Il motivo, invece, che ha spinto James Halliday (Mark Rylance) a fondare Oasis, il mondo virtuale che distrae gli abitanti della Terra dell’anno 2045, è che non sentiva di avere un posto nel mondo reale. Solo quando il giovane Wade Watts (Tye Sheridan) riuscirà a capire il suo creatore, probabilmente potrà sconfiggere i suoi avversari e finire il gioco. Dovrà però prima smetterla di sentirsi inferiore al suo avatar. Steven Spielberg in Ready Player One ci ricorda che per quanto possa essere ‘super’ la rappresentazione che diamo di noi stessi altrove, il mondo reale è ancora l’unico posto in cui si può mangiare un pasto decente e baciarsi come si deve.

Altro luogo reale è il Kansas. Dorothy (Judy Garland) vi ci vive con gli zii e il cane Totò. In Kansas nessuno sembra ascoltarla e Dorothy viene accusata spesso di ‘viaggiare troppo con la fantasia’. La ragazzina, quindi, sogna di trovare rifugio ‘Over the rainbow’, oltre l’arcobaleno, dove il cielo e gli uccellini sono azzurri e tutti possono vivere felici, ed è proprio lì che un uragano la trascinerà, nel fantastico mondo de Il mago di Oz di Victor Fleming. Ma sarà davvero tutto così bello lontano da casa? Sulla stessa linea, i sogni ad occhi aperti di Alice nel paese delle meraviglie della Disney che si concludono giusto per consentirle di tornare a casa con sua sorella e il gattino Oreste, in tempo per il tè del pomeriggio.

Di ben altro tono il mondo immaginario che sta alla base del film Palma d’Oro a Cannes di quest’anno, lo struggente e intensissimo Un affare di famiglia dello giapponese Kore’eda Hirokazu, una riflessione sui rapporti, sulla definizione e percezione di ciò che è buono e cattivo e di quello che davvero vuol dire essere una famiglia, in un racconto in cui le aspettative dello spettatore vengono disattese e la crudezza del racconto lascia inermi, incapaci di scegliere da quale parte stare.

Altro film da recuperare con molti fazzoletti alla mano, Re della terra selvaggia di Benh Zeitlin, che racconta in un modo magico, mescolando realtà, fantasia e mito l’avventura della seienne Hushpuppy (la straordinaria Quvenzhane Wallis poi scritturata per Dodici anni schiavo da Steve McQueen) e del suo viaggio in cerca della madre, una donna conosciuta solo attraverso delle storie, perché suo padre, che l’ha educata per divenire forte come un Re della terra selvaggia (le paludi del sud della Louisiana che vengono definite ‘la Grande Vasca’) sta per morire.

Il mondo immaginario lega anche molti film in cui dei protagonisti ragazzini hanno una malattia, come Wonder di Stephen Chbosky, in cui il piccolo August (Jacob Tremblay) ha una malformazione facciale ed è solito andare in giro con un casco da astronauta nella disperata attesa annuale di Halloween, unico giorno in cui può essere semplicemente uno tra gli altri. Anche Maddy (Amanda Stenberg) ha una malattia che, a differenza di August il cui problema è principalmente estetico, la costringe in una casa completamente sterilizzata. In Noi siamo tutto di Stella Meghie (da un romanzo di Nicola Yoon) Maddy fantastica di rompere la vetrata che la separa dal mondo reale e la allontana da Olly (Nick Robinson), il nuovo vicino di cui è innamorata, e costruisce progetti architettonici in cui muove una piccola figura di astronauta perché, come quello, anche lei si sente come intrappolata in uno spazio.

L’ultimo titolo che mi sento di aggiungere a questa carrellata di progetti vecchi e nuovi più o meno conosciuti è Non dimenticarmi – Don’t forget me che uscirà nelle sale il 15 novembre, un film del regista israeliano Ram Nehari che ha commosso il pubblico dell’ultimo Torino Film Festival portandosi a casa il premio per il miglior film e le migliori interpretazioni, sia maschile che femminile per Nitai Gvirtz e Moon Shavit (quest’ultima ex aequo) nel raccontare la storia di Neil, un suonatore di tuba che è ricoverato in una clinica psichiatrica, e Tom, una ragazza anoressica, i cui mondi immaginari si andranno a fondere in uno solo che andrà a contrapporsi alla realtà in cui non sembrano trovare posto.

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