“Se volete conoscere un popolo, dovete ascoltare la sua musica”.
Valerio Vestoso è nato sotto la Dormiente, proprio come me. Avendo qualche anno in più, quando ero ancora beneventana al cento per cento e non mezza milanese, non gli prestavo tanta attenzione. Era solo un amico timido del mio cuginetto piccolo con uno sguardo intelligente e curioso. Non vi sto a raccontare tutte le cose belle che ha fatto Valerio crescendo. Tengo a sottolineare semplicemente, alla luce di quello che oggi è successo in Italia con le elezioni politiche 2018, quanto il suo lavoro sia stato lungimirante.
Essere Gigione – L’incredibile storia di Luigi Ciavarola è il racconto di due anni intensissimi della vita e la carriera di Gigione, un cantante che potrebbe essere definito ‘folk’, secondo altri ‘trash’, per altri ancora semplicemente in qualche modo ‘popolare’, famosissimo nel Sud Italia e non solo (come ho scoperto assistendo ad una proiezione del documentario) anche grazie a vari programmi televisivi in cui rispondeva, in diretta e in seguito anche con suo figlio Jo Donatello, alle richieste musicali (ovviamente di brani della sua quasi infinita discografia, tra cui brillano La campagnola e Papa Francesco) dei suoi fan. Non dimenticherò mai alcune delle chiamate in cui gli ascoltatori invece di dire il proprio nome, quando Gigione rispondeva alla telefonata urlavano: ‘Indovina!’ Questo come se Gigione potesse ricordare, uno ad uno, i nomi dei suoi fedelissimi. Una leggenda metropolitana – non confermata nel documentario – vuole che il nome d’arte di Luigi fosse agli esordi Gigi One ma che che la gente del suo paese natale, Boscoreale vicino Napoli, non avendo capito che One fosse una parola inglese, avesse letto semplicemente ‘Gigione’ destinando il talentuoso cantante a un futuro dal sapore poco internazionale. Stiano come stiano le cose, non c’è sagra o festa di paese in cui Gigione, da anni, non assicuri il pienone.
Il documentario di Valerio Vestoso fa girare la testa. Si muove troppo Gigione; corre, saltella, batte le mani. Si muove troppo il suo pubblico; urla, parla con la bocca piena, indossa abiti dai colori chiassosi, si muove tra grigliate e fritto misto, passa dal sacro al profano in un battito di ciglia. Unisce la fede alla superstizione. Senza un sussulto che possa far sorgere il dubbio. È un’Italia che i più faticano a riconoscere quella di cui Gigione si fa portavoce e che Vestoso ci mostra. È l’Italia che guarda massicciamente Uomini e donne e C’è posta per te, non per vagare con la mente, ma perché crede che Maria sia proprio una brava donna e faccia del bene. È l’Italia che impazzisce per Barbara D’Urso e punta l’indice contro tutto e tutti anche se non ha sentito abbastanza per farsene un’opinione. È l’Italia che fa fatica, quella di cui la classe politica ‘alta’ non si occupa, quella che non consideriamo mai, nei sondaggi, nelle scelte di ogni giorno, quella più becera e al tempo stesso generosa, quella contraddittoria e ignorante, quella che sembriamo non vedere.
Vestoso si ferma su un acquario, come a rilassare lo sguardo. Abbassa il volume e ci offre un altro suono mentre ci mostra una realtà di cui possiamo ridere. Ma di cui dovremmo, invece, tenere conto.
Per non dover piangere poi, in un giorno di marzo perché non avevamo capito.