Uno dei motivi per cui il blog e la pagina di Uanema sono nati – oltre al forzarmi alla parola scritta – era il piacere di raccogliere ed esprimere una considerazione, un parere, una critica o il mettere sotto un occhio di bue qualunque cosa potesse farci dire, nel bene e nel male, Uanema, appunto. L’attività più diffusa era, appunto, il ‘vieni al cinema con me’. Per me era un piacere farmi accompagnare alle anteprime cinematografiche in quel di Milano da amici avvocati, consulenti e tecnici delle materie più disparate, designer, medici, maestri di capoeira, ingegneri, studenti, soccorritori, insegnanti e sentire cosa ne pensassero loro di quello che avevano appena vissuto nella sala buia. Il cinema è uno dei miei non luoghi. Un posto in cui, ovunque nel mondo, posso entrare e sentirmi al sicuro, a casa mia. Dove, precisamente, riesco ad andare in un posto che non ha a che fare con lo spazio fisico ma che è dentro di me. Il mio personalissimo armadio segreto. Ricordo due occasioni in particolare, in cui ho pensato con tristezza al lavoro dei critici cinematografici. Uno all’anteprima di Perfect day, un film che racconta la guerra dei Balcani girando attorno a un pozzo con una sceneggiatura che sa tanto di teatro e un fenomenale – al solito – Benicio Del Toro. Si tratta del primo film in inglese di un regista spagnolo, Fernando Lèon de Aranoa, non proprio mainstream (in seguito avrebbe diretto la super coppia Bardem – Cruz nel più noto Escobar – Il fascino del male). All’uscita dalla sala, una critica in fila avanti a me disse alla sua vicina che era proprio contenta di averlo visto perché lo aveva stroncato. Avrebbe cambiato una recensione scritta su pareri di altri senza aver visto il film. Un’altra volta fu dopo l’anteprima di Song to song di Terrence Malick, al cinema Palestrina. Ero l’unica sveglia. Il critico alla mia sinistra si era quasi poggiato alla mia spalla tanto profondo era il suo sonno. Nel mese dopo, tutte le recensioni al film erano entusiastiche. Anche se il film lo avevo visto solo io. Chissà quanti di quelli che pensiamo siano pensieri sono solo lavoro.
Mi sento un po’ orfana della sala buia in questo periodo di lockdown per il corona virus. Quando ero una ragazzina un regista mi disse che bisognava perdersi nei volti dei protagonisti di una pellicola cinematografica e io sono rimasta del parere che, possibilmente, i film vadano visti lì, al cinema. I film in tv e al computer sono un’esperienza totalmente diversa nonostante la grandezza degli schermi o della possibilità di proiezione. Il cinema è anche una scommessa di visione. Non sai mai quanta gente sospirerà con te nella stessa sala vivendo la tua stessa esperienza. Non interessa a nessuno cosa provano gli altri attorno; eppure quando la gente applaude all’ingresso di Harrison Ford in scena in Star Wars – Il risveglio della forza o quando nessuno riesce a trattenersi dal ridere alla mimica di Danny De Vito nel finale di Jumanjii (per non parlare degli horror e dei film drammatici in cui sono in tantissimi a doversi costringere a recuperare contegno durante i titoli di coda) io mi sento parte di qualcosa. Mi sento naturalmente e magicamente umana.
Per questo mi interessa cosa pensano di opere fatte per parlare di possibilità e impossibilità dell’umano (perché il cinema non fa altro che parlarti di vita) gli esseri umani. Perché c’è sempre qualcosa che ci parla di noi stessi all’interno di ogni opera d’arte. Perché c’è sempre qualcosa che ci parla di noi stessi all’interno di ogni film.
“Il Carro” è una cooperativa sociale che si trova a Paullo, in provincia di Milano, che si occupa di persone fragili, favorendone l’integrazione attraverso il lavoro e servizi educativi e residenziali. In questo periodo di lockdown i servizi non residenziali (chiamati servizi diurni) sono stati sospesi ovunque e anche tutta l’umanità che ruota attorno a questa cooperativa ha dovuto trovare dei metodi alternativi per continuare a sostenere se stessa e non lasciare nessuno indietro. Uno degli strumenti che ha trovato il mio amico educatore Mirko per poter coinvolgere uno degli ospiti della comunità residenziale “La Nave”, sempre gestita dalla cooperativa, è stato, appunto, il cinema.
Giuseppe è un utente della cooperativa “Il Carro” con diagnosi di disabilità ad alto funzionamento. Nonostante le sue problematiche, Giuseppe è riuscito a laurearsi, ha sempre lavorato ed è stato coinvolto in molte attività dalla cooperativa, ma in questo periodo è stato costretto come tutti a restare in comunità e, di conseguenza, a modificare le sue routine.
Essendo un appassionato spettatore, gli è stato proposto dai suoi educatori della cooperativa di scrivere delle recensioni cinematografiche, in modo tale da poter interagire con gli altri anche a distanza. Lo ospiteremo volentieri anche sul nostro blog e sulla pagina facebook, dal momento che, a mio parere, a tutti farebbe bene ogni tanto concedersi anche solo il pensiero di come gli altri guardino l’opera d’arte che stiamo guardando anche noi, quel piccolo pezzo di vita e di mondo che stiamo toccando anche noi con le nostre dita. Perché potrebbe sorprenderci.
Sperando che presto questo virus venga sconfitto e che Giuseppe possa venire fisicamente al cinema con me.