Lui e lei. Undici e sedici anni. Due. Bambini, minorenni, neri, africani. Che vogliono restare due. Tori e Lokita sono arrivati in Europa dall’Africa con un viaggio complesso. Sono due nomi che dovremmo conoscere ma che non ci siamo mai fermati a sentire, che non abbiamo mai chiesto. Sono una mano che non abbiamo stretto, una mano che è andata a fondo, che ha subito violenza, una mano che ha tentato di restare a galla, che ha cercato di difendersi, che ha stretto le sbarre di una cella. Dicono di essere fratelli, si proteggono a vicenda. Fanno il possibile per proteggere quel due. E il possibile è tutto quello che pensiamo e che sappiamo e che ci raccapriccia, ma che, comunque, non riusciamo a fermare. Anzi, quasi sempre – come in questo caso – siamo anche noi ‘padroni di casa’ a fare il male e a coinvolgere i più fragili, a sfruttarli e ad abusarne. Ma se non siamo coinvolti in prima persona, continuiamo a a deciderci (perché quello che si è, lo si sceglie) impotenti ed è per questo che preferiamo il non conoscerne i nomi. Perché tanto gli altri da noi sono tutti uguali. Non hanno bisogno di un nome. Perché quello che si chiama per nome ha delle specificità, è un essere che merita rispetto, se non un affetto, dell’empatia che solitamente si riconosce anche alle bestie. E forse sentire un nome che si può ricordare, come sentire una canzone che anche noi abbiamo imparato, fa davvero troppo male.
All’uscita dell’anteprima milanese del film, una critica ha commentato sbruffando: ‘I giornali li sappiamo leggere’. ‘Evidentemente no’, mi è venuto da commentare.
Tra l’altro, dai fratelli Dardenne, un cognome marchio del ‘cinema sociale’, non credo si potesse aspettare qualcosa di diverso, anche se il loro racconto acquista il peso della scelta di due protagonisti minorenni; ma non è la prima volta che il dramma viene vissuto dai più piccoli; e purtroppo, non solo nel cinema. In ogni caso, il film è un pezzo di un viaggio di cui non vediamo l’inizio e di cui non vedremo completamente la fine, in cui ogni passo ci dà ansia, ci fa sentire il pericolo, il rischio, del tempo che passa, del prossimo spostamento rischioso, della prossima aggressione, della prossima richiesta non lecita o dell’indagine o esame che potrebbe mettere a rischio quel due. Un due che non ha importanza se è definito da uno stato naturale, dalla condivisione di un dramma, dalla superstizione. Un due scelto e protetto, che ci fa sentire quanto l’unica cosa che conta davvero è non essere più soli.
La solita mazzata dai fratelli Dardenne. Premio dei 75 anni dell’anniversario del Festival di Cannes.