Thomas (Louis Vasquez, adolescente che farà strappare i capelli alle ragazzine francesi e non solo) passa il suo tempo estivo a giocare ai videogiochi, un po’ annoiato, un po’ no, ma non salta d’entusiasmo quando sua madre Paola (Mélanie Doutey) gli propone di passare il resto delle sue vacanze da suo padre (da cui è separata) in un’oasi naturale in Camargue. Suo padre (Jean-Paul Rouve) pare un po’ svitato anche a quelli che bazzicano il suo ambiente: ha cercato invano di procurarsi delle autorizzazioni presso il Museo Nazionale di Storia Naturale di Parigi per un suo progetto. Vorrebbe tentare di insegnare la rotta di migrazione a un gruppo di oche appartenenti ad una razza quasi estinta. E lo farebbe facendo credere alle oche di essere il loro genitore, guidandole poi, fisicamente a bordo di un piccolo idrovolante, fino al luogo in cui, un domani, dovranno deporre le loro uova. Thomas si ritrova, così, coinvolto dal tentativo di suo padre, sul bordo di una palude di cui, a un certo punto, gli piaceranno persino le zanzare. Il film di Nicolas Vanier (tratto dal suo omonimo romanzo edito da Sperling & Kupfer) nasce come una volontà di documentare (d’altronde, Vanier viene dai documentari) il lavoro straordinario dell’ornitologo francese Christian Moullec che ha realmente realizzato l’impresa raccontata nel film e che ha collaborato alle riprese e alla sceneggiatura. Il mondo raccontato appartiene agli stessi valori che avevano mosso il regista a girare la saga di Belle & Sebastien: anche i ragazzini possono fare la loro parte, riscoprendo una naturalezza nei gesti che un tempo era scontata (il nonno di Sebastien non si fa il minimo scrupolo prima di calarlo da una parete scoscesa per salvare un cerbiatto mentre i genitori di Thomas, molto più grande dell’altro, osservano con timore la capacità ‘fattiva’ del ragazzo, il suo sorprendente ‘saper fare’) e restituendo alla natura un equilibrio, grazie a una conoscenza consentita dallo studio e l’osservazione (l’uomo guida le oche mentre prima era il cane a far muovere gli umani tra i crepacci) in un momento in cui sembriamo aver perso il legame con la natura, nostra stessa sostanza, di cui siamo solo una piccola parte fin troppo rumorosa e invasiva. Adesso in cui il rispetto per la natura è sempre più urgente, è necessario commuoversi nel vedere un’oca scambiare per sua madre un ragazzino. Anche se nel complesso il racconto per me è troppo ‘lacinquesco’ (con aggiunte smielate e un finale positivo a 360°) ho pensato che Vanier avesse pensato quanto fosse più facile creare quella che considero ‘la meraviglia attiva’ attraverso un racconto finzionale invece che documentando la storia di un personaggio che ci pare quasi mitico, e quindi distante. Quello che fa Thomas nel racconto, un ragazzino un po’ viziato che parte da zero nel suo approccio con la natura e i motori, possiamo farlo tutti noi. Non è necessario che tutti impariamo a volare, ma anche solo riprendere ad alzare gli occhi al cielo ed apprezzare quello che abbiamo e difenderlo perché ci sia anche domani a me pare abbastanza. Sentire l’assenza della meraviglia della natura e cercare di mantenerla in vita perché, come viene citato nel film: “Non abbiamo ereditato questo mondo dai nostri genitori, l’abbiamo preso in prestito dai nostri figli”.
Se avete dei figli, portateli a vedere Sulle ali dell’avventura.