Ogni storia porta con sé il pregiudizio di se stessa. Più la conosci, più l’hai attesa e più non riesci ad essere neutrale nei suoi confronti.
Non ricordo esattamente quando ho cercato di sapere di più di Sharon Tate. So, però, che ho provato paura e disgusto e non sono riuscita bene a interpretare le emozioni che ho sentito nella pancia sapendo e vedendo di più. Tutta la difficoltà di scrivere di C’era una volta…a Hollywood di Tarantino si porta dietro tutta la difficoltà di perdere per un attimo il ricordo del reale, di quello che davvero è accaduto a Sharon Tate la sera del 9 agosto 1969. Ho visto il film in sala, tempo dopo l’uscita, in mezzo a un pubblico ‘normale’ (alle anteprime ci sono solo giornalisti o addetti del settore dello spettacolo), composto anche da persone che erano finite lì per caso o perché cercavano una storia alla Kill Bill e di Sharon Tate, di Charles Manson e di tutta quella storia lì forse non ne sapevano nulla. Forse tra di loro c’era anche chi aveva visto la seconda stagione della serie Mindhunter di Netflix e non aveva realizzato di aver visto una versione dello stesso personaggio (per chi non sa di cosa sto parlando, Mindhunter parla del lavoro dei primi uomini dell’FBI che hanno ipotizzato l’esistenza dei serial killer e ne hanno studiato i comportamenti e i profili per riconoscere altri assassini dello stesso tipo e limitare il numero degli omicidi; tra questi, i detective Ford e Tench incontrano anche Manson e ne restituiscono una versione di un esaltato bugiardo disposto a qualunque cosa pur di essere al centro dell’attenzione e di essere considerato uno ‘tosto’). C’era una volta a…Hollywood ha il titolo di una fiaba perché non c’è molto di reale nel film, come non c’è molto di reale nemmeno nel cinema e non c’è molto di reale nemmeno nella fabbrica cinematografica più ricca del mondo, Hollywood appunto. Rick Dalton (uno degli attori più bravi di sempre, Leonardo Di Caprio) è il protagonista di una serie tv western, Bounty Law, pronto a fare il grande salto e a lavorare nel cinema, seguito sempre dalla sua immancabile controfigura Cliff Booth (l’altro ottimo Brad Pitt, il cui andare avanti nel tempo non scalfisce per nulla il suo status di sex symbol), una specie di tuttofare che non lo abbandonerà nemmeno quando le cose non andranno come previsto e Rick sarà costretto a riprendere a interpretare le serie tv da cui era scappato nel ruolo, tra l’altro, dell’antagonista cattivo, rientrando ogni sera nella sua villa di Cielo Drive, un investimento fatto da Rick proprio per poter avere come vicini (che però vede solo di sfuggita) i più famosi dei famosi, in quel momento il regista polacco Roman Polański e sua moglie, l’attrice Sharon Tate. C’era una volta a…Hollywood ha il titolo di una fiaba perché presenta il mondo cinematografico di quegli anni ad Hollywood facendo interagire Rick e Cliff con attori noti dell’epoca, inserendoli in pellicole reali, eccedendo nella stereotipizzazione di quelli che oggi sono miti (facendo arrabbiare qualcuno, come la famiglia di Bruce Lee che ha ottenuto il divieto di diffusione della pellicola in Cina), portando alcuni caratteri all’eccesso, proprio come fa con Rick e Cliff che, invece, sono solo personaggi e fanno fatica a non avere reazioni spropositate, cercano di trattenersi e poi fanno peggio; è una favola nera perché, come le favole quelle vere, fa sfiorare anche il degrado, lo squallore e la violenza seguendo la famiglia Manson e lo Spahn Ranch dove questa alloggiava; è una favola tenera perché accompagna Sharon Tate (interpretata da Margot Robbie, un altro pezzo da 90 del cinema odierno) in un momento della sua vita in cui le cose iniziano ad andare nella direzione sperata e a lei sembra davvero di vivere la sua favola personale. C’era una volta a…Hollywood è una fiaba in cui viene data a Leonardo Di Caprio la possibilità di mostrare per l’ennesima volta quanto sia grande ed è corretto che la bambina attrice (Bella Ramsey, famosa per aver interpretato il personaggio della coraggiosa Lyanna Mormont nella serie de Il trono di spade) gli dica: ‘è stata la scena meglio recitata che abbia mai visto’. Quentin Tarantino con questo nono film porta a casa la nomination all’Oscar per il miglior film, per il miglior regista, la migliore sceneggiatura originale, la miglior fotografia, la miglior scenografia, il miglio r sonoro, il miglior montaggio sonoro, i migliori costumi e la nomination per il miglior attore protagonista per Leonardo Di Caprio e per il miglior attore non protagonista per Brad Pitt. Vedremo come andrà. Mentre la maggior parte del pubblico rideva per il personaggio di Rick e acclamava il finale tarantiniano, a me veniva da piangere e da abbracciare questo desiderio disperato di un ragazzo di Hollywood di nome Quentin di cambiare la storia. Alle volte, il cinema può essere una straziante vendetta nei confronti del destino. Dietro tutto il rumore di performance attoriali straordinarie c’è una semplice favola che non è andata a finire come volevamo.