Ho avuto la nausea per giorni dopo aver visto Atonement (Espiazione) di Joe Wright. Per la prima volta in quel film ho visto la spiaggia di Dunkirk. Sono stata imbambolata per un tempo infinito, come se qualcosa che avessi nel sangue stesse ribollendo alla provocazione. Come se qualcosa dentro di me si fosse risvegliato. Mi era accaduta la stessa cosa a Berlino, dove mio nonno era stato ricoverato quando avevano bombardato il campo ‘di lavoro’ in cui lo avevano rinchiuso durante la Guerra. Si era rifiutato di sparare a dei civili a Trieste e gli alleati tedeschi lo avevano arrestato e portato fino in Polonia. Dopo la fuga, ci mise otto anni a tornare a casa.
Morì quando avevo sei anni ma non ho mai dimenticato i segni delle cicatrici che aveva sul corpo. Non ho mai perso la sensazione dell’odore della sua pelle ad ogni febbre che mi riporta bambina. Ogni volta che mi sento morire, lui è con me.
Mi aveva atterrito quella sensazione diversa, che avevo trovato rappresentata solo in alcuni film sul Vietnam (ma la giungla non è riconoscibile nella memoria condivisa con mio nonno mentre il mare lo è…): quell’attesa snervante che può ucciderti o, bene che vada, portarti alla follia.
Ho atteso quasi con paura Dunkirk di Christopher Nolan. Metti la sensazione di urgenza nei confronti di un racconto e aggiungi che a sporcarcisi le mani è uno dei registi che più sembrano esserti entrati nella testa (solo silenzio dopo Memento, The prestige, Inception). Dunkirk (in francese Durkerque) è una cittadina francese che dista dieci chilometri dal confine del Belgio. Si trova proprio di fronte all’Inghilterra. Ci vuole davvero poco ad arrivarci anche nel 1940. Chissà come dev’essere cercare l’Inghilterra da una spiaggia francese. Anche se la distanza non è poca penso che uno possa sognare l’altra parte, possa sentire che si è quasi lì tuffandosi in mare, soprattutto se sa che lì è in salvo. E poi perché i marinai dipingono le proprie case di colori accesi se non perché sia più facile riconoscerle e sognarle da lontano?
I tedeschi stanno risalendo lungo la costa dove si sono ritirati gli alleati e dove sembrano non avere via di fuga. Chissà se in alcuni giorni è più o meno facile cercare casa dalla spiaggia per quei ragazzi inglesi. Chissà se, invece, tra i francesi non c’è chi pensa sia meglio morire a casa invece che provare a raggiungere l’altra sponda.
Quattrocentomila uomini sono in attesa di una mano che li salvi. Dal cielo. E anche dal mare.
Nolan si focalizza sugli inglesi a Dunkirk. Sono loro che vagano per la cittadina divisa in più fronti fino a raggiungere la spiaggia.
Il racconto è diviso in tre aree di azione che, ovviamente, andranno a convergere nel finale: 1. the mole, ossia la banchina necessaria come attracco per le navi mandate dall’Inghilterra (si tratta di un termine del tutto britannico, visto che per gli americani di solito ‘the mole’ è un termine che indica una spia) e che definisce proprio quelle strutture necessarie nelle spiagge nel nord della Francia durante la Seconda Guerra Mondiale per consentire il loro utilizzo come porti; ‘the mole’ è uno spazio che sembra non avere tempo anche se è quello di una settimana; è quello dove tutto si dilata e sembra non esserci più, perché è quello della partenza, del probabile ritorno e dell’attesa; 2. ‘the sea’, il mare, ha lo spazio di un giorno, deve accoglierti per farsi attraversare e si prende il suo tempo anche se si accende il motore; 3. ‘the air’, l’aria, dove improvvisamente il ritmo aumenta ed è l’ora che comanda.
Quattrocentomila uomini sono in attesa di una mano che li salvi. Sono ragazzini di una ventina d’anni, vestiti allo stesso modo, simili tanto che si fatica a riconoscerli. Non hanno nemmeno avuto il tempo di farsi crescere la barba. Vivono una situazione assurda da farli sembrare, nei loro tentativi di sopravvivenza, dei bambini che giocano con degli oggetti ritrovati sulla spiaggia: fingono di essere qualcun altro, si nascondono in un relitto, salgono su una nave, affondano, poi tornano indietro e ricominciano. Come in un gioco pericoloso. Sono più o meno intraprendenti, capitanati da uomini coraggiosi, sconfitti che non vogliono piegare la testa, figli e nipoti di quel Winston Churchill che chiuderà la storia. Nolan li segue standogli addosso con la camera tanto da farci percepire ogni loro vibrazione, il loro battito cardiaco che Hans Zimmer (il grandioso compositore e responsabile della colonna sonora anche di questo indiscutibile capolavoro) sottolinea ed evidenzia. Sono un corpo unico che non si piega, che non è mai solo anche quando ha più paura. Sono un tutt’uno che difende il più debole, che perdona la debolezza, la perdita di senno. Sono un tutt’uno che ha un solo scopo, andare oltre l’ora, il giorno, il tempo di ‘the mole’. Sono un tutt’uno che non si arrende e cerca il futuro.
Churchill diceva:
Io stesso ho piena fiducia che se tutti fanno il loro dovere, se nulla è trascurato […] potremo dimostrare ancora una volta a noi stessi di essere in grado […] di superare la tempesta della guerra, e di sopravvivere alla minaccia della tirannia, se necessario per anni, se necessario da soli. […]
Andremo fino in fondo […]
combatteremo sui mari e sugli oceani,
combatteremo con crescente fiducia e crescente forza nell’aria, […]
combatteremo sulle spiagge,
combatteremo nei luoghi di sbarco,
combatteremo nei campi e nelle strade,
combatteremo sulle colline;
Non potremo mai arrenderci […] fino a quando, quando Dio vorrà, il Nuovo Mondo, con tutta la sua forza e potenza, faccia un passo in avanti per il salvataggio e la liberazione del Vecchio.
Se anche noi non ci riconosceremo come un corpo unico, non ci sarà il tempo del domani.
[Questo film è un capolavoro].