Mentre tornavo a casa dopo la visione di questo film mi sono chiesta quanto davvero un essere umano possa sopportare; ossia portare sopra, conoscere il peso di qualcosa di enorme e riuscire ad andare avanti tenendolo con sé, come Atlante con la Terra, piazzata lì, sulle sue spalle forzute. Il problema è che Atlante è un Dio mentre in questo film non resiste nessun Dio. Preferisce restare lì, by the sea, ad osservare tutto senza intromettersi.

Ognuno dei personaggi di Manchester by the sea non fa altro che decidere come andare avanti dopo la catastrofe. Lo fanno un ragazzo che ha perso il padre, un’ex moglie, una madre alcolista, un fratello che sa già come andrà a finire. Lo fanno tutti gli abitanti del piccolo paese in cui pochi dimenticano e poco resta non condiviso (Manchester by the sea potrebbe essere una Castellammare italiana).
Accade qualcosa che costringe tutti a scegliere: prendersi cura o fingere che vada tutto bene; ridere o riscaldarsi, respingere, riempirsi di persone e di cose da fare, amare anche se si è spezzati e ricominciare o farsi trascinare via.

Lee aveva già deciso ma è costretto ad affrontare il passato e a scegliere; nuovamente.

Casey Affleck è Lee, un tuttofare che da Boston ritorna alla sua città natale, Manchester, per la morte del fratello.

La sua recitazione è minima, il suo dolore è contenuto, strozzato in un corpo piccolo, con le spalle strette, la camminata corta e gli avambracci che non si distendono quasi mai completamente. Scatta, in modo violento, appena può. Ama in modo imbarazzato, scomposto.

Quando prova a spiegarsi e l’inquadratura si allarga, il carrello va indietro, respinto quasi dalla difficoltà della scena rappresentata.

Finalmente, un racconto umano. Con una dizione disordinata, gente che tira sù col naso e si interrompe mentre parla (ndr. l’ho visto in lingua originale…speriamo che il doppiaggio non faccia danni), con persone che vanno a sbattere davvero, cadono e fanno le facce strane che facciamo nella vita reale quando piangiamo o non riusciamo a dire una cosa (peccato solo per le adolescenti…che il vizio di toccarsi i capelli quando sono riprese non se lo tolgono né qui né dall’altra parte dell’Oceano, ma – grazie grazie grazie – Michelle Williams è brava e quando soffre non ha bisogno di sembrare bella). La storia mi ha fatto battere il cuore. Ogni volta che Lee si fermava per provare a dire qualcosa, la mia pancia era lì che gli diceva ‘cavoli, abbraccialo, parla, dici, spera’. Mi ha fatto arrabbiare e mi ha fatto ridere. Molto. I dialoghi sono quotidiani, intelligenti e spiazzanti (Lonergan anche è candidato all’Oscar per la sceneggiatura). Si parla di una cosa mentre i corpi dicono tutt’altro.
Era tanto che non trovavo nulla di così poco didascalico.

Casey Affleck stupisce, portando avanti un buon lavoro che si era intravisto nel personaggio di Rodney in Out of fornace di Cooper (che vi consiglio). Fa solo un po’ strano che somigli così tanto a suo fratello.

Per il mio ‘vicino di cinema’, il racconto è troppo lungo e i registi dovrebbero cercare di ‘non portarla avanti così troppo’, perché non è necessario. E, sempre secondo lui, dovremmo averne abbastanza di drammoni familiari e flashback.

Io, invece, non mi lamento. Sono stata abbracciata al mio cappotto sulla mia poltrona, anche io sul mio posto sul mare, per tutta la sua durata.