1892. Negli occhi del Capitano di fanteria Joseph Blocker (la sua carne è quella di uno dei miei attori preferiti, Christian Bale) c’è un orizzonte diverso da quello che vede lo spettatore. È uno spazio più ampio, in cui il tempo sembra correre in modo diverso e le sfumature delle nuvole sono più intense. È uno spazio su più livelli; da più parti può arrivare il pericolo. Da sotto la terra, da sopra gli alberi, dal cielo, dalla forza della sabbia, da dentro di te. Ho cercato di ricordare quello sguardo anche se nel mio ultimo viaggio mi sono limitata a New York. Eppure quell’ostilità di cui parla il titolo è mischiata con le fondamenta anche della Grande Mela. Non c’è bisogno dei grandi spazi del West per vederla. Ci sono tracce dimenticate di ciò a cui hanno portato i tempi ostili. Il Monumento di circa 11.500 Martiri imprigionati nelle navi durante la Guerra d’indipendenza americana. Un buco nel muro in Wall Street per 38 morti e 143 feriti del 1920 di cui nessuno ha memoria. Le tracce. Sono un po’ nascoste perché se ne è perso il significato, perché c’è stato il tempo in cui ci è piaciuto vedere e mostrare solo il grande sogno. Joseph Blocker, ex eroe di guerra che ha passato la maggior parte della sua vita combattendo, viene costretto da un suo superiore, per motivi politici, a riportare nella terra originaria del suo clan un prigioniero Cheyenne, Falco Giallo (Wes Studi). Blocker tenta di tutto per non partire. Il Montana è lontano. I pericoli sono tanti. Ma soprattutto Blocker conosce Falco Giallo. Ha visto molti suoi amici morire in modo atroce per mano della sua gente. Solo una persona che non ha mai combattuto potrebbe chiedergli di proteggere il suo nemico in un viaggio lungo metà America rischiando la sua vita e quella dei suoi uomini. Solo un politico che probabilmente non sa nemmeno impugnare una pistola potrebbe farlo. Blocker e i suoi soldati (tra cui il protagonista di Chiamami col tuo nome, Timothée Chalamet) partono con Falco Giallo e la sua famiglia. Dopo un breve tratto, a loro è costretta ad unirsi Rosalee Quaid (Rosamund Pike, candidata agli Oscar nel 2015 come miglior attrice protagonista per Gone girl – L’amore bugiardo di David Fincher), unica scampata al massacro della sua famiglia da parte della tribù dei Comanche. Sono tutti personaggi costretti a muoversi, partire, tornare. Hanno tutti lo stesso sguardo di chi è portato ad essere predatore per non essere preda. Saranno tutti costretti a contare l’uno sull’altro per poter sopravvivere.
Solo riconoscendo l’ostilità ci si può ripulire da essa. Essere ostili non vuol dire essere nemici. Vuol essere diffidenti. Solo riconoscendo questa differenza la si può superare. Oggi avremmo bisogno di ricordare. Anche questo.
[Il film si prende il suo tempo e ha un finale che all’anteprima è stato criticato da chi era nella mia stessa sala milanese – troppo stucchevole forse, ma si può condannare un prodotto per questo? Io l’ho trovato l’ennesima ottima prova di regia per Scott Cooper – che avevo apprezzato per Il fuoco della vendetta – Out of the furnace del 2013 – e un ritratto visivamente splendido per quanto crudele (grazie alla straordinaria la fotografia di Masanobu Takayanagi) di un Paese del quale oggigiorno è sempre più importante ricordare le origini.]