La vita prima di tutto. La vita di un bambino prima di tutto. Fiona Maye (Emma Thompson in una performance straordinaria) è un famoso giudice dell’Alta Corte Britannica. Si occupa da anni di diritto familiare e di tutela dei minori. Si rivolgono a lei come The Lady, Signora, Vostro Onore, appellativo che la sintetizza perfettamente dal momento che il suo lavoro ha pian piano rosicchiato tutto il resto della sua vita. Suo marito Jack, un brillante professore universitario (Stanley Tucci che con il passare degli anni diventa sempre più sexy e piacente) cerca di discutere con lei in maniera civile, all’interno di un rapporto tra due persone adulte che stanno insieme da molto tempo e tra cui c’è una grandissima stima e affetto, dell’incapacità o assenza di volontà da parte di Fiona di offrire spazio alla loro relazione di coppia e del suo bisogno, del tutto umano ed egoista, di tradirla. Fiona non riesce a credere alle proprie orecchie. La logicità del ragionamento di Jack la scombussola. I suoi importantissimi casi giudiziari sono sempre stati la priorità. Non ha mai pensato di poter rallentare per offrire spazio ad altro. Forse anche perché finora Jack è sempre stato il primo a sostenerla e a mettere lei e i bisogni di lei al centro di tutto. Fiona è integerrima. Non può accettare nessuno sbafo, nel suo lavoro, nella sua casa – in cui entra sempre facendo attenzione a non rigare il pavimento – nelle sue esecuzioni al piano, figuriamoci nel suo matrimonio. Nel pieno di questo sconvolgimento privato, dato dalla decisione di Jack di fare un po’ come crede vista la poca disponibilità di Fiona ad andargli incontro, il giudice cambia modus operandi ed esce, in maniera abbastanza sconvolgente per quelli che la conoscono, dal sicuro della sua aula, lontano da quei libri la cui presenza, conoscenza e possibilità di studio trova sempre sostegno, per incontrare la vita sulla quale la sua decisione sta avendo peso. Adam Henry è un ragazzo di 17 anni malato di leucemia. Potrebbe avere salva la vita grazie ad una trasfusione ma appartiene ad una famiglia di testimoni di Geova e non può accettare il sangue di un altro. Per i testimoni di Geova il sangue è l’accesso di Dio al corpo umano, è il simbolo della vita stessa dell’individuo e non può essere mescolato con quello di un altro perché sarebbe sacrilegio. I suoi genitori non vogliono che abbia la trasfusione, così come lo stesso Adam. L’ospedale, allora, si è rivolto all’Alta Corte Britannica affinché decida la gestione di questo caso.
Il Children act è una legge promulgata nel 1989 in Gran Bretagna per garantire la tutela dei minori, dando la possibilità allo Stato di decidere a favore dei più deboli, anche andando contro la volontà degli stessi minorenni. Adam Henry compirà 18 anni tra qualche giorno se riuscirà a sopravvivere. Fiona potrebbe decidere a distanza, come ha sempre fatto, invece va ad incontrare Adam (interpretato dal protagonista di Dunkirk, Fionn Whitehead) affascinante ragazzino pieno di vita ed ideali che dal suo letto d’ospedale la porterà a cantare una canzone, atto rivoluzionario che cambierà la vita di entrambi e il modo in cui l’integerrima Fiona guarderà a tutto ciò che la circonda e in cui crede.
Il film di Richard Eyre (il regista di Diario di uno scandalo, per capirci) mette sulla pellicola un libro di Ian McEwan (autore anche di Espiazione di cui vi è stata una trasposizione cinematografica di grande pregio con la regia di Joe Wright), La ballata di Adam Henry la cui forza è, appunto, la storia che si basa sulla domanda relativa alla liceità o meno delle scelte di ogni singolo individuo, sulla libertà e sull’umanità dell’errare. É uno schiaffo in faccia a mano larga; è un tema su cui possiamo solo alzare le mani e condividere il racconto, con il volto rigato dalle lacrime, mentre camminiamo accanto a qualcuno, senza farci toccare per mantenere l’equilibrio. Eyre muove la telecamera in maniera molto pulita coerentemente con il disegno perfetto, lo stile e l’eleganza del suo personaggio principale; occupa lo spazio sempre con la sua protagonista (Emma Thompson al massimo delle sue potenzialità, bellissima e smarrita come non mai) o lo sguardo che questa poggia sul mondo che la circonda. Solo nel finale, l’inquadratura si allarga fino a comprendere uno sguardo sulla città e sull’esistente che potrebbe appartenere ad una creatura divina e che ci include nella nostra incapacità di darci una risposta su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
Un film quasi ‘classico’ nello stile e nella rappresentazione. Eppure (nel senso che la struttura del racconto e le modalità della sua forma non sono nulla di particolarmente esaltante) bellissimo.