Ci sono delle cose che non si riesce a dimenticare. Restano lì a corroderci dall’interno. Se ne cerca la dimenticanza, l’oblio, in tutti i modi possibili. Si pensa di aver avuto una colpa per il loro accadere. Che non sempre si ha. E nei brevi momenti in cui qualcosa ci regala l’illusione di aver cancellato quella memoria, può capitare che qualcuno se ne approfitti e ci trascini in altri desideri di dimenticanza. Ci sono anche cose che ci perseguitano ma sono ricordi sbagliati, confusi ma convincenti come se fossero la verità che non sono. E poi altre cose che si vorrebbe ricordare. E non si riesce a farlo. Che si perdono di continuo.
Questa è la storia di Sylvia (interpretata dalla stupenda eppure normale e credibile Jessica Chastain). Da quindici anni – l’età di sua figlia Anna – ricorda a se stessa di non dover cercare l’oblio nell’alcool. Frequenta esclusivamente persone appartenenti agli alcolisti anonimi e la famiglia di sua sorella, lavora in un centro per disabili e tutto il resto del tempo sembra occuparsi e preoccuparsi di sua figlia, trascorrendo le pause pranzo per guardarla (controllarla, proteggerla?) durante la ricreazione da una panchina di fronte la scuola.
Una sera che sua sorella la convince a seguirla a una reunion della sua scuola superiore, un uomo si avvicina a Sylvia che, infastidita, va via. La segue fino a casa, resta tutta la notte lì sotto la pioggia e la mattina dopo Sylvia è costretta a soccorrerlo.
L’altra storia in questo film è quella di Saul (Peter Sarsgaard che io avevo amato in An education – pellicola tratta da un libro di Nick Horby con varie candidature agli Oscar 2010 – per la sua faccia che potrebbe andare bene per qualunque ruolo e che, per questo ruolo, ha vinto la Coppa Volpi al Festival del Cinema di Venezia di quest’anno) l’uomo che l’ha seguita, che non la ricorda, che non ricorda niente perché, da non si sa quanto, è affetto da demenza e dimentica continuamente tutto. Eppure sa che in un ristorante si mangia bene, anche se non ricorda nemmeno una volta in cui c’è stato né cosa ha mangiato, ricorda chi ha amato ma senza saperne il perché.
Il resto è fatto di twist che non sono veri; lo sembrano ma sono legati a memorie confuse, fraintendimenti. Il tema è la memoria ma anche il disagio, la traccia che la violenza ti lascia addosso, la malattia e il nostro rapporto con essa, la tutela che scavalca il diritto, il tentativo di protezione e il timore che tutto venga fatto per opportunismo e che diventa, però, un modo per soffocare l’altro e impedirgli un minimo di quella normalità a cui chiunque avrebbe diritto.
Un film non rivoluzionario (viene naturale il riferimento solo tematico – che poi, come abbiamo detto, la memoria è solo uno degli aspetti di questo film – a film più sperimentali come Memento di Nolan – che ha sconvolto alcuni canoni del cinema – ma anche l’italiano Ricordi? di Valerio Mieli in cui la storia cambiava – e cambiavano anche gli abiti e il loro colori – a seconda del punto di vista di chi la ricordasse) molto incentrato sulla complessità dei protagonisti attorno ai quali, in contrasto, si muovono figure stilizzate (la buonissima e ingenua figlia di Sylvia, Anna; sua madre che continua a mantenere la stessa posizione di chiusura e attacco da monolite; sua sorella e la sua famiglia che boh; il fratello e la nipote di Saul dell’alta borghesia che si fermano a considerarlo un disabile da gestire, per quanto sia grande l’affetto che nutrono nei suoi confronti) e degli scontri forse un po’ troppo semplici e scontati (personalmente ne ho un po’ abbastanza di figure urlanti nei salotti di famiglia che non raggiungono gli effetti di Carnage di Polanski o di una certa puntata di una tavola di Natale nella seconda stagione della serie di FX The Bear).
Però il regista messicano Michel Franco ci racconta comunque un incontro non usuale che merita di esistere e di essere osservato. Sottolinea la possibilità del miracolo del presente, il valore delle cose che esistono in questo preciso momento, la felicità che va presa per quella che è. L’importanza che anche un minuscolo presente può avere per chiunque e che vale davvero e comunque la pena di essere lasciato vivere. Senza che ci si preoccupi del perché legato al suo passato, senza che ci si preoccupi del futuro. Il diritto al presente anche delle persone rotte, frantumate, che non sono a posto, ma che hanno tutto il sacrosanto diritto di stare nel momento finché ce la si fa.
Da vedere.